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22/08/2014 - tio.ch

Allevamenti suini sotto accusa

In un rapporto dell'associazione Tier im Fokus denuncia gravi mancanze nelle suinicolture elvetiche

BERNA - L'associazione Tier im Fokus (TIF, che in italiano potrebbe essere tradotto con "focalizzazione sugli animali") lancia l'allarme sulle condizioni degli allevamenti di maiali in Svizzera. In un rapporto pubblicato oggi denuncia gravi mancanze nelle suinicolture elvetiche.
Nel suo "rapporto sui maiali" l'organizzazione mostra materiale fotografico proveniente da dieci aziende di quattro cantoni che documentano box in cemento imbrattati di sterco, suini sdraiati su pavimenti nudi, animali con irritazioni cutanee o ferite da morso, maiali morti all'intero di secchi e ancora bestie non in grado di camminare. Il presidente dell'associazione Tobias Sennhauser, citato in un comunicato, reputa le condizioni insostenibili ma non sorprendenti.
L'organizzazione per i diritti degli animali condanna "questo trattamento violento di esseri viventi" ed esige che lo Stato e la politica si occupino finalmente della protezione della dignità degli animali.
Visionando le immagini del TIF la Protezione svizzera degli animali (PSA) ha identificato bestie trascurate in due delle dieci aziende incriminate. Le altre imprese sarebbero, per quanto visibile dalle foto e dai video, in regola, afferma il responsabile del servizio di controllo della PSA Cesare Sciarra. "Vediamo questo tipo di immagini ogni giorno, per noi non si tratta di nulla di nuovo". Tuttavia egli reputa insufficienti i requisiti minimi di legge richiesti per la suinicoltura.
Felix Grob, direttore di Suisseporcs, afferma che nella produzione svizzera la metà di tutti i suini hanno la possibilità di stare all'aperto e due terzi possiede comunque un letto di fieno.
Il "Servizio per la salute dei maiali" (SGD) precisa che il comportamento dei suini - citato nel rapporto - di mordersi le code e le orecchie a vicenda, chiamato anche cannibalismo, può essere dovuto a molteplici cause dettate solitamente da più fattori (come correnti d'aria, fluttuazioni della temperatura, gas nocivi, mancanza di spazio o di distrazioni, quantità di mangime non adeguato, acqua troppo fredda, stress o malattie). Si tratta di "un problema diffuso" sopratutto in suinicoltura, aggiunge l'SGD.
In totale su territorio svizzero lo scorso anno sono stati contati 7'277 suinicoltori. L'Ufficio federale di statistica quantifica invece con 1,485 milioni il numero di suini, di cui 26'613 vivono in aziende biologiche.

28/03/2014 - 20min


Una giusta alimentazione può aiutare la guarigione dal tumore?

 
Il 5 marzo a Le Iene su Italia1 è andato in onda un interessante servizio tutto documentato su come un signore malato di tumore sia riuscito a bloccare la malattia grazie anche all'introduzione di una alimentazione vegana, in gran parte crudista.
Michela De Petris, dott.ssa sia privata ma anche specialista in nutrizione oncologica al San Raffaele di Milano, ha dato la sua disponibilità a spiegare alle telecamere in che modo tutti i suoi pazienti siano riusciti a trarne tanto beneficio. Consiglio di vedere il servizio. Il giorno dopo ha iniziato a ricevere migliaia di chiamate da tutta Italia a cui lei sta cercando di dare risposte, perché è una persona eticamente corretta.
Successivamente alla trasmissione, il suo primario del S.Raffaele l'ha chiamata e l'ha licenziata in tronco.
La dottoressa ha spiegato che il suo ospedale prende molti soldi dalle cure farmacologiche che danno ai pazienti malati di tumore e quindi, per interessi prettamente economici, il suo intervento ha danneggiato la struttura.

LE IENE: Alimentazione e malattie

puntata del 5 marzo: video

LE IENE: Alimentazione e tumori

puntata del 26 marzo: video

LE IENE: Alimentazione e tumori 2

puntata del 16 aprile: video


11/02/2013 - cadoinpiedi.it

La "Melma Rosa", scandalo alimentare negli Usa - video

Una poltiglia rosa a bassissimo costo usata per aumentare il volume della carne macinata

Si chiama Pink Slime, "melma rosa". E' una specie di poltiglia rosa a bassissimo costo, usata per aumentare il volume della carne macinata per hamburger, wurstel, salsicce, etc.

E' stata la ABC News a diffondere la notizia alla fine di marzo, raccontando ai consumatori americani che il 70% della carne macinata venduta negli States contiene Pink slime a loro insaputa. E' questo ciò che riporta il sito GreenMe

Questo particolare composto è fatto di cartilagini, tendini e altri tessuti connettivi. Il tutto viene triturati, irrorato con ammoniaca, condito con aromi artificiali e, infine, congelato. Uno dei maggiori produttori di "melma rosa" è la Beef Product Inc, che vende il suo prelibato composto ai maggiori produttori di carne, come McDonald's e Burger King. Tutto regolare, visto che per il ministero dell'Agricoltura statunitense, la carne disinfettata con ammoniaca è commestibile per gli esseri umani.

In seguito alla grande attenzione dei media e alla reazione dei consumatori, la domanda di carne bovina è diminuita e la BPI ha sospeso la produzione di Pink Slime in tre dei suoi stabilimenti americani. Ma l'ammoniaca, spiega Tom Laskawy, è solo l'ultimo dei problemi.

Nell'industria della carne vengono usate anche altre sostanze chimiche come ipoclorito di calcio, usato nello sbiancamento e nella pulizia delle piscine; acido ipobromoso, dotato di proprietà germicide. Nessuno di questi elementi appare, ovviamente, sull'etichetta. Buon appetito.

31/01/2013 - veggiechannel, youtube.com
Sensazionale dichiarazione sulla principale emittente televisiva russa "Primo canale" del giorno 20 gennaio 2013. Un gruppo d'illustri professori dopo due anni di riflessione decide di informare il popolo russo sulla questione del latte vaccino.

Le dichiarazioni sono forti ed univoche: "Il latte vaccino e tutti i suoi derivati sono la causa primaria di molte malattie di tipo degenerativo moderno e di molti tumori".

Questo video è stato tradotto in Italiano dalla web TV Veggie Channel affinché i media italiani ne prendano esempio ed abbiano il coraggio di diffondere questa oramai unanime ed internazionalmente riconosciuta evidenza scientifica.

31/12/2012 - tio.ch

Listeria trovata in un formaggio
di pecora

Fabbricato in Francia e venduto nella filiali romande della Migros

GINEVRA - Batteri di tipo Listeria sono stati riscontrati in un formaggio "briques de Jussac" fabbricato in Francia e venduto nella filiali romande della Migros. Il prodotto è stato ritirato dal mercato e l'Ufficio federale della sanità pubblica (UFSP) raccomanda a chi lo avesse già acquistato di non consumarlo.

Il numero dell'articolo è 2125.063.000 e la data di scadenza è fissata al 9 gennaio, 12 gennaio o 23 gennaio, precisa un comunicato. I batteri di tipo Listeria possono causare sintomi simili a quelli di un'influenza: febbre, mal di testa e nausea. L'UFSP raccomanda alla donne incinte e alle persone con deficienze immunitarie di consultare un medico se dovessero avere questi sintomi dopo aver mangiato il formaggio in questione.

12/04/2012 - cdt.ch

Cresciano Il Macello Ticino naviga in cattive acque. Si appronta un piano di risanamento per evitare il fallimento


Il Macello Ticino di Cresciano navi­ga in cattive acque. L'attività del mat­tatoio nato per sopperire al vuoto cau­sato dalla chiusura delle strutture co­munali di Chiasso, Lugano, Mendrisio e Locarno è notevolmente inferiore alle previsioni che avevano portato alla costruzione della struttura. Le entrate, malgrado gli sforzi per aumentare i volumi, non permettono alla società di far fronte al peso del debito sottoscritto con BancaStato per concretizzare l'iniziativa che, dato il suo interesse pubblico, è stata sostenuta dal Cantone tramite un contributo di 1,5 milioni e un prestito LIM di poco inferiore al milione. A tre anni dall'avvio delle attività la situazione è grave, ma, ci ha spiegato il presidente Paolo Barberis, il consiglio d'amministrazione per evitare il rischio di un fallimento sta approntando un piano di risanamento da sottoporre agli azionisti, agli utilizzatori, al Cantone e alla banca creditrice ai quali la società si è già appellata. Dovrebbe permettere alla MATI SA di ripianare la propria situazione debitoria creando le premesse per procedere alla diversificazione delle attività garantendole nuovi introiti. Si pensa, in particolare, alla creazione - tramite partenariati - di un reparto per porzionamento, impacchettamento e congelamento della carne.
«Da un punto di vista gestionale il macello funziona bene, purtroppo rispetto al business plan elaborato a suo tempo, i dati di riferimento sono cambiati determinando la situazione odierna» sottolinea Paolo Barberis confermandoci le difficoltà della società. Venne creata nel 2006 e ancora attende il sostegno garantito a suo tempo dai Comuni che ospitavano i macelli regionali. Il capitale sociale ammonta a 142 mila franchi sottoscritto da: Federazione ticinese produttori di latte, Rapelli, Centro macellai che si occupa della gestione, Comune e Patriziato di Cresciano nonché alcuni privati attivi nel settore.
Oggi la società non riesce a sostenere il peso (interessi e ammortamenti) del mutuo concessole da BancaStato per finanziarie la costruzione il cui costo, anche a causa di imposizioni aggiuntive, è passato dai quasi 4 milioni preventivati nel 2004 a 5,7. Un po' perché deve rispettare condizioni cui altri mattatoi in Ticino non sono sottoposti (pochi sono conformi all'Ordinanza federale in materia d'ispezione delle carni). Ma soprattutto perché il numero di animali da macellare si è rivelato notevolmente al di sotto delle attese. Diversi capi finiscono ancora oltre S. Gottardo o vengono fatti rientrare nella macellazione casalinga, ma soprattutto la produzione ha subito un drastico calo. Ancora pochi anni fa si stimava che in Ticino ci fosse un potenziale di 1,5 milioni di chili di carne. In realtà nel 2011 ne sono stati macellati 700 mila chili di cui circa 500 mila a Cresciano. Il dato è di circa il 60% inferiore al quantitativo di 1,2 milioni di chili che, spiegava il Consiglio di Stato al Parlamento chiedendoli l'erogazione dei contributi all'investimento, avrebbe permesso alla Macello Ticino SA di pareggiare i conti.

07/07/2011- ticinonews.ch

Latte poco trasparente, un bicchiere pieno di sostanze chimiche


LONDRA - Un bicchiere di latte può contenere fino a venti diversi antibiotici, anti infiammatori, anabolizzanti e ormoni per la crescita. È quanto emerge da una nuova ricerca pubblicata nel "Journal of Agricultural and Food Chemistry" e riferita oggi dal "Daily Mail".
Un team di studiosi ha analizzato accuratamente 20 diversi campioni di latte bovino e ha constatato che in tutti era presente nel latte una serie di prodotti chimici usati per curare le mucche e che da queste erano stati trasmessi nel latte.
Secondo gli studiosi la pastorizzazione del latte non neutralizza componenti come gli antibiotici e gli ormoni presenti nel latte di mucca. Le dosi sono minime, e non possono avere un reale effetto sul uomo, ma resta il fatto che la catena alimentare è stata contaminata, con conseguenze difficilmente prevedibili nel futuro.

07/01/2011

Germania: diossina, si teme la contaminazione del latte

Non solo le uova, ma anche il latte potrebbe essere contaminato in Germania a causa della vendita di mangimi alla diossina a numerosi allevatori del Paese.
Il tabloid tedesco Bild riporta oggi che un allevatore di bovini potrebbe avere usato il mangime sotto accusa e secondo alcuni esperti è possibile che anche il latte contaminato - oltre alle uova, la carne di pollo e la carne di maiale - sia finito nei supermercati.
Da parte sua, Christiane Gross, portavoce dell'associazione non governativa Foodwatch, che si batte per i diritti dei consumatori nel settore alimentare, ha commentato alla Bild: «Al momento non è escluso che il latte contaminato da diossina abbia raggiunto gli scaffali dei supermercati».
Intanto, il tabloid tedesco riporta il caso di Juergen Spreen-Ledebur, un allevatore di mucche dello Schleswig-Holstein (nord), la regione a Nord della Germania dove ha sede la società ritenuta responsabile della contaminazione (la Harles und Jentzsch): il suo allevamento è fermo da tre giorni e Spreen-Ledebur è costretto a buttare 1700 litri di latte al giorno.
(ats)

Diossina nelle uova, consumatori in allarme

BERLINO - È allarme in Germania dopo la scoperta di uova alla diossina e mangimi contaminati destinati a pollame e suini: il governo della cancelliera Angela Merkel ha lanciato un appello al Paese spiegando che sarebbe ".ssolutamente esagerato" rinunciare adesso alla carne e alle uova, ma migliaia di animali sono già stati soppressi, i consumi di questi prodotti sono in "forte calo" e lo scandalo ha già oltrepassato i confini nazionali.
Se da una parte le associazioni dei consumatori invitano i cittadini a non acquistare pollame, carne suina e uova, infatti, dall'altra un portavoce del ministero dell'Agricoltura - Holger Eichele - ha confermato che 136mila uova sospette sono state spedite il 3 e il 5 dicembre scorsi da un'azienda della Sassonia-Anhalt a una società olandese di Barneveld, una cittadina a circa 60 km a sudest di Amsterdam.
La Germania, quindi, si trova alle prese con un altro scandalo alimentare dopo quello delle mozzarelle blu - l'anno scorso - prodotte dal caseificio bavarese Milchwerk Jaeger e vendute in tutta Europa. Questa volta, sotto accusa c'è la Harles und Jentzsch, una società di Uetersen, nello Schleswig-Holstein (nord), produttrice di grasso per mangimi.
La Harles und Jentzsch ha consegnato fino a 3mila tonnellate di grasso per mangimi contaminato da diossina a 25 produttori. Questi, a loro volta, hanno venduto i mangimi contaminati ad allevatori in otto regioni (Brandeburgo, Amburgo, Bassa Sassonia, Nord Reno-Westfalia, Sassonia, Sassonia-Anhalt, Schleswig-Holstein e Turingia), come ha spiegato il ministro dell'Agricoltura e della protezione dei consumatori tedesco, Ilse Aigner.
"Al momento sappiamo che sono coinvolte otto regioni", ha detto la Aigner. Da parte loro, i manager della Harles und Jentzsch si sono giustificati dicendo che una sostanza chimica industriale normalmente usata nella produzione della carta è stata utilizzata per errore nei grassi per mangimi. La Aigner non ha commentato questa versione dei fatti, ma secondo un portavoce del ministero la spiegazione "non è affatto attendibile".
Per il momento, comunque, il caso sembra essere confinato alla Germania e all'Olanda. La Commissione europea non ha lanciato alcun allarme generale, anche se segue il caso con attenzione.
In Germania, invece, le autorità hanno chiuso oltre 1.000 allevamenti nella sola Bassa Sassonia, dove sono stati soppressi oltre 8mila polli. E nonostante gli appelli del governo e della stampa a non "esagerare", le vendite di uova - secondo l'associazione di settore Meg - sono diminuite "notevolmente". mentre i consumatori tedeschi chiedono maggiori controlli.
Le autorità dovrebbero accertarsi che i produttori di mangimi "utilizzino solo ingredienti certificati", ha commentato Christiane Gross, portavoce di Foodwatch, un'associazione non governativa che si batte per i diritti dei consumatori nel settore alimentare.
La diossina, ha proseguito la Gross, è presente spesso nei grassi usati per la produzione dei mangimi e "finchè non ci saranno controlli sugli ingredienti finirà sempre nei nostri piatti".

RSI - Patti chiari

in onda il venerdì 20.10.2010
Ore 21.05 – durata 60’

Trasporti bestiali

http://www3.rsi.ch/pattichiari/node/1920
Ogni anno milioni di animali vengono trasportati in condizioni allucinanti da una parte all’altra dell’Europa per essere macellati. Non per niente li chiamano i “viaggi della morte”: stipati all’inverosimile in camion in condizioni spesso precarie e sotto il sole cocente, gli animali giungono a destinazione affamati, esausti, agonizzanti o addirittura già morti. Sono scene strazianti, il risultato di viaggi interminabili che a volte durano anche più di 48 ore! In Svizzera queste cose per fortuna non succedono: qui il trasporto internazionale di animali è vietato. Eppure anche alle nostre latitudini le infrazioni non mancano: animali maltrattati, veicoli non conformi, conducenti improvvisati. E per il consumatore non sono dettagli: maggiore è lo stress subito da un animale durante il viaggio e minore sarà la probabilità che una volta macellata la sua carne sia tenera. Intanto proprio in Svizzera chi è al fronte denuncia: nel settore i controlli scarseggiano e le sanzioni sono ridicole. Una troupe di Patti chiari ha indagato sul terreno, seguendo trasporti di animali di ogni genere, all’estero ma anche in Svizzera e in Ticino. Animali le cui carni finiscono poi sui banconi dei nostri supermercati. Un’inchiesta che svela la faccia nascosta del grande business della carne.

10/09/2010 - tio.ch

TICINO
Occhio al pollo contaminato

Il 72% dei polli svizzeri è contaminato dal campylobattere. Berna sta cercando di frenare l'ascesa del fenomeno. Marco Jermini, direttore del laboratorio cantonale: "Oltre 7000 persone all’anno finiscono dal medico con il mal di stomaco"

BELLINZONA – È arrivata la nuova salmonellosi. Solo che stavolta a essere colpiti sono soprattutto i polli. Meglio se di passaporto rossocrociato. La bomba è stata lanciata qualche settimana fa da uno studio alimentare effettuato su scala europea. Due polli svizzeri su tre sarebbero contaminati dal campylobattere, un organismo patogeno che non crea problemi al volatile, ma causa mal di stomaco e diarrea all’uomo. In Svizzera oltre 7000 persone all’anno sarebbero colpite da questo bacillo. Duecento a settimana, stando all’Ufficio federale della sanità pubblica che si sta battendo per arginare un fenomeno in costante ascesa negli ultimi sette anni. “Nel 2009 in Ticino – dice Marco Jermini, direttore del laboratorio cantonale – ben 190 persone sono finite dal medico per una campylobatteriosi. Anche se in alcuni casi la malattia è stata contratta durante viaggi in Paesi in cui l’igiene è scarsa, la causa più probabile è legata al consumo di carne di pollo. Un numero considerevole. Soprattutto se si pensa che queste cifre non comprendono i casi curati a domicilio”.
Studio spietato - Lo studio è impietoso nei confronti della Svizzera. Il 72% dei polli elvetici è contaminato dal campylobattere. Una percentuale enorme se rapportata a quella di altri Paesi. Come ad esempio la Danimarca, dove i polli infetti sono circa il 31%. Berna da mesi sta indagando sulla situazione. E, in attesa di un vaccino, l’Ufficio federale di veterinaria ha chiesto agli allevatori di disinfettare con maggiore frequenza acqua e mangimi. E poi ancora massima pulizia nei pollai e contatto ridotto con gli insetti. “La pulizia di fatto c’è – afferma Christoph Schatzmann, della Bell SA, azienda leader nel settore della carne di pollo in Svizzera –. Il problema del campylobattere è internazionale. Forse da noi lo si nota un po’ di piu perché rispetto ai Paesi nordici abbiamo temperature piu miti. O forse perché contrariamente a quanto accade in altri luoghi in Svizzera si allevano i polli all’aria aperta. Di certo va sottolineata una cosa: in Svizzera c’è molta attenzione di fronte a questo problema. Anche da parte della scienza e delle autorità. Forse è per quello che adesso se ne parla cosi tanto”. “Il campylobattere praticamente convive con il pollo – dice Jermini –, è nella sua flora intestinale. La temperatura del corpo è più alta nei volatili rispetto ad altri animali”. La Svizzera, contrariamente ad altre nazioni, ha deciso di allevare i polli all’aria aperta. Ma l’aria aperta favorisce la propagazione dei batteri. “Consci della problematica – riprende Jermini –, lo scorso anno in Ticino abbiamo effettuato test su 65 campioni. Il 28% è risultato infetto. E la maggior parte dei polli contaminati era svizzera”.
Gli appelli - L’Ufficio federale della sanità sta moltiplicando gli appelli. Perché, nonostante i fastidi, il problema può essere risolto alla radice dal consumatore. “Bisogna vedere il pollo come qualcosa di non pulito – sostiene Jermini –. Come una patata sporca di terra. Serve la massima igiene. E nessuno dovrà rinunciare a mangiare la carne di questo volatile. In cucina tutte le volte che si entra in contatto con il pollo crudo, occorre lavarsi le mani prima di toccare altre cose. Così come durante una grigliata non si deve appoggiare la carne cotta nello stesso piatto in cui prima c’era quella cruda”.

22/08/2010 - caffe.ch

PIÙ FELICI SENZA LA BISTECCA

di PATRIZIA GUENZI

I vegetariani sarebbero più felici dei carnivori. A dirlo uno studio recente, pubblicato nel Nutrition Journal, secondo cui i primi soffrirebbero meno di depressione, ansia e cattivo umore. Si stima che in Svizzera quasi il 10 per cento della popolazione abbia bandito la bistecca dal proprio piatto. Fosse solo perché un terzo di tutto il cibo prodotto sul pianeta è mangime per bovini, che poi noi dovremo mangiare, sarebbe davvero bello se imparassimo tutti ad apprezzare di più frutta, verdura, legumi e cereali. In fondo da tempo ci hanno spiegato che le proteine non si trovano soltanto nella coscia del vitello o nella spalla di bue!
E allora, proviamo a pensarci e a privilegiare il verde. Si parla tanto di ridurre gli sprechi, di consumi responsabili, di riutilizzo, riciclo e via elencando… poi, appena ci toccano il piatto non siamo più minimamente disposti a qualche compromesso. Intanto, un po’ ovunque, cresce l’offerta di ristoranti vegetariani. Mentre quello considerato come migliore al mondo, il Noma à Copenhagen, propone menu “verdi”. In conclusione, provare a rinunciare alla bistecca forse conviene. Fosse solo per stare meglio, per sentirsi più felici. Secondo voi non è abbastanza?

06/06/2010

Le Nazioni Unite invitano a passare ad un'alimentazione vegan

Nuovo report UN indica come necessaria la diminuzione dei consumi di alimenti animali, per l'ambiente e per chi soffre la fame.

Il nuovo report dell'UNEP (Programma per l'Ambiente delle Nazioni Unite), uscito il 2 giugno 2010 e intitolato "Calcolo degli impatti ambientali dei consumi e della produzione", evidenzia senza ombra di dubbio il consumo di alimenti animali - carne, pesce, latticini - come una delle cause primarie di impatto ambientale, inquinamento, effetto serra e spreco di risorse.
Secondo un articolo del quotidiano inglese The Guardian, a commento del report, "uno spostamento globale verso un'alimentazione vegan è vitale per salvare il mondo dalle fame e dagli impatti peggiori del cambiamento climatico".
Nelle conclusioni del report si afferma infatti: "Si prevede che gli impatti dell'agricoltura aumentino in modo sostanziale a causa dell'aumento di popolazione e del conseguente aumento del consumo di alimenti animali. Un riduzione sostanziale di questo impatto sarà possibile solamente attraverso un drastico cambiamento dell'alimentazione globale, scegliendo di non usare prodotti animali".
Il professor Edgar Hertwich, l'autore principale del report, ha dichiarato: "I prodotti animali causano danni maggiori di quelli dovuti alla produzione di materiali per l'edilizia come sabbia e cemento o di materiali come plastica e metallo. Le coltivazioni per i mangimi animali sono dannose quanto il consumo di combustibili fossili."
Nel rapporto si legge infatti che "In confronto ai processi industriali, i processi produttivi in agricoltura hanno intrinsecamente una bassa efficienza nell'utilizzo delle risorse, il che rende la produzione di cibo, fibre e biocarburanti tra i processi più inquinanti. Questo è vero specialmente per i prodotti animali, in cui il metabolismo degli animali è il fattore limitante. Una gran parte dei raccolti nel mondo sono usati come mangime per gli animali, e ci si aspetta che questa proporzione aumenti ulteriormente entro il 2050".
Gli animali d'allevamento, oggi considerati come macchine per la produzione di "proteine animali", e in quanto tali sfruttati al massimo e non considerati essere senzienti quali sono, possono essere definiti in questa visione come "fabbriche di proteine alla rovescia". Per ottenere un kg di carne sono necessari mediamente (con variazioni da una specie animale all'altra) 15 kg di vegetali coltivati appositamente (o derivanti da pascolo, ma anche in questo caso l'impatto sull'ambiente è molto alto), e quindi non può esistere alcuna "soluzione tecnologica" che risolva il problema. Come rimarcato dal nuovo rapporto ONU, il fattore limitante è il metabolismo animale, cioè il fatto che gli animali sono fabbriche di proteina alla rovescia che hanno bisogno di una grande quantità di mangime per produrre una quantità di "prodotto" (carne, pesce, latte, uova) molto più basso. E questo aspetto non si può cambiare con nessuna tecnica di allevamento o di coltivazione dei mangimi.
Affermano i promotori del NEIC, il Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione: "Per questi motivi, l'unica soluzione è quella di spostarsi verso un'alimentazione vegetariana, o meglio, vegana, perché tutti gli allevamenti sono una minaccia per l'ambiente e provocano un enorme spreco di risorse (cibo, terreno fertile, acqua, sostanze chimiche, combustibile), che si tratti di produrre 'carne e pesce' o derivati come latte e uova."
Lo scorso anno Lord Nicholas Stern, ex consulente del governo del Regno Unito sugli impatti dei cambiamenti climatici sull'economia, ha dichiarato che l'alimentazione vegetariana è migliore di quella onnivora per rispettare l'ambiente. E il dott. Rajendra Pachauri, direttore dell'IPCC, il Panel Intergovernativo dell'ONU sui cambiamenti climatici, dal 2008 in avanti sostiene la stessa tesi in numerose conferenze ed audizioni, e sta sostenendo l'iniziativa europea dei "lunedì senza carne" per abituare le persone a mangiare senza avere il bisogno psicologico della carne a ogni pasto, e far così passare gradualmente la popolazione a un'alimentazione a base vegetale.
Ernst von Weizsaecker, uno scienziato ambientale dell'IPCC ha dichiarato: "L'aumento di ricchezza nei paesi in via di sviluppo sta modificando la dieta tradizionale in questi paesi verso un consumo molto maggiore di carne e latticini - il bestiame oggi consuma la maggior parte dei raccolti mondiali, e di conseguenza la gran parte dell'acqua potabile, di fertilizzanti e di pesticidi".
Infatti in uno dei grafici del nuovo rapporto ONU (figura 5.7, pag. 74) si può chiaramente notare che tra i processi produttivi a maggior impatto ambientale, figura l'allevamento di bestiame: tra i 4 settori etichettati come "prima priorità" troviamo il settore della zootecnia, e tra i settori definiti di "seconda priorità" troviamo nei primi posti la lavorazione della carne e la lavorazione del latte.
Nei paragrafi conclusivi del report ONU sono indicati i settori in cui intervenire maggiormente, anche come singoli cittadini, per prevenire un impatto ambientale disastroso e uno spreco di risorse che sta esacerbando il problema della fame nel mondo. Al paragrafo 6.4, intitolato "Il punto di vista dei consumi: i gruppi di consumo prioritari" troviamo al primo posto il settore cibo, con l'affermazione "La produzione di cibo è quella che più influenza l'utilizzo del terreno, e quindi il cambiamento di habitat, il consumo di acqua, il sovrasfruttamento delle zone di pesca e l'inquinamento da azoto e fosforo. Nei paesi più poveri è anche la maggiore causa di emissione di gas serra. Sia le emissioni che l'utilizzo della terra dipendono molto dalla dieta. I prodotti animali, sia carne che latticini, in generale richiedono maggiori risorse e causano maggiori emissioni rispetto ai prodotti vegetali".
Concludono gli esperti del NEIC: "Lo spostamento verso un'alimentazione a base vegetale è ormai necessario, imprescindibile e la sua urgenza è innegabile. Anche per la salute umana si tratta di una scelta positiva, perché consente di prevenire le maggiori patologie cosiddette 'del benessere'. Consigliamo, come introduzione a questo genere di alimentazione il sito www.VegFacile.info, che spiega passo passo come eseguire la transizione, mentre per approfondimenti sugli aspetti scientifici è disponibile il nostro sito www.NutritionEcology.org."
Comunicato di:
NEIC - Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione
http://www.nutritionecology.org - [email protected]

10/04/2010 - foianoinpiazza.it

I VERI COSTI DELL’ALIMENTO CARNEO

di Mauro Sabbadini

l’economista Jeremy Rifkin, scrittore, docente alla Whartono School do Finance and Commerce e presidente della Foundation on Economic Trends e della Grrenhouse Crisis Foundation, uno dei più famosi ‘teorici’ no-global, ha scritto un famoso libro: “Eccidio, ascesa e caduta della cultura della carne” (Mondadori) nel quale, con mirabile acume, analizza il costo che ha per l’umanità questa ‘attitudine’, sviluppatasi esponenzialmente nell’ultimo secolo. La tesi iniziale di Rifkin è significativa: sono due miliardi gli uomini che soffrono la fame. Il numero potrebbe decrescere, ma, come al solito, l’interesse dei pochi prevale sul destino dei molti’. Egli illustra come il “racket dell’Hamburger”, assorbendo il 36% della produzione mondiale di grano per l’allevamento del bestiame, impedisca di eliminare il problema della fame nel mondo.
Centinaia di milioni di persone nel mondo lottano ogni giorno contro la fame, perché gran parte del terreno arabile è oggi utilizzato per la coltivazione di cereali ad uso zootecnico, piuttosto che per cereali destinati all’alimentazione umana. I ricchi del pianeta consumano carne bovina e suina, pollame e altri tipi di bestiame, tutti nutriti con foraggio, mentre i poveri muoiono di fame. Negli ultimi cinquant’anni, la nostra società globale ha costruito a livello mondiale una scala di proteine artificiali sul cui gradino più alto ha collocato la carne bovina e quella di altri animali nutriti a foraggio. Oggi, i popoli ricchi, specie in Europa, Nord America e Giappone, se ne stanno appollaiati in cima a questa catena alimentare divorando il patrimonio intero del pianeta. Il passaggio avvenuto nel mondo agricolo dalla coltivazione di cereali per l’alimentazione umana a quella di foraggio per l’allevamento degli animali rappresenta una nuova forma di umana malvagità, le cui conseguenze potrebbero essere di gran lunga maggiori e ben più durature di qualunque sbaglio commesso in passato dall’uomo contro i suoi simili.
Oggi, oltre il 70% del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato all’allevamento del bestiame, in gran parte bovino. Sfortunatamente, di tutti gli animali domestici, i bovini sono fra i convertitori di alimenti meno efficienti. Sperperano energia e sono da molti considerati le “Cadillac” (e, curiosamente, in alcuni supermercati, alcuni tagli di carne bovina, piuttosto ad alto costo e “di gran pregio” è proprio chiamata ‘Cadillac’) delle fattorie animali. Per fare ingrassare di circa mezzo chilo un manzo da allevamento, occorrono oltre 4 chili di foraggio, di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali e sottoprodotti di mangimi e il restante chilo e mezzo è paglia tritata. Questo significa che solo l’11% di foraggio assunto dal manzo diventa effettivamente parte del suo corpo; il resto è bruciato come energia nel processo di conversione, oppure assimilato per mantenere le normali funzioni corporee, oppure assorbito da parti del corpo che non sono commestibili, ad esempio la pelle e le ossa. Quando un manzo di allevamento sarà pronto per il macello, avrà consumato 1.223 chili di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi. Attualmente, negli Stati Uniti, 157 milioni si tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall’uomo, sono destinate alla zootecnia; è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l’americano medio consuma in un anno.
È importante tenere presente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto ad un acro di terra destinato all’allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrne rispettivamente 10 e 15 volte tanto.
Molti di voi saranno sorpresi di sapere che due terzi di tutto il grano esportato dagli Stati Uniti verso altri Paesi è destinato all’allevamento del bestiame più che a soddisfare il fabbisogno di cibo dei popoli. Ad esempio, l’Etiopia sta utilizzando parte dei suoi terreni agricoli per la produzione di panelli di lino, di semi di cotone e semi di ravizzone da esportare nel Regno Unito e in altri Paesi europei come cereali foraggieri destinati alla zootecnia … Purtroppo l’80% dei bambini che nel mondo soffrono la fame, vive in Paesi che di fatto generano un surplus alimentare che è, però, per lo più, prodotto sotto forma di mangime animale e che di conseguenza è utilizzato solo da consumatori benestanti. Nelle aree in via di sviluppo, dal 1950 ad oggi, la quota – parte di grano destinata alla zootecnia è triplicata ed ora supera il 21% del totale del frano prodotto. In Cina, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano da allevamento è triplicato ( dall’8% al 26%). Nello stesso periodo, in Messico, la percentuale è cresciuta dal 5 al 45%, in Egitto dal 3 al 31% e in Thailandia dall’1 al 30%.
L’ironia dell’attuale sistema di produzione p che milioni di ricchi consumatori dei Paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all’abbondanza di cibo – attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete – malattie provocate da un’eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali; mentre i poveri del Terzo Mondo muoiono di malattie poiché è loro negato l’accesso alla terra per la coltivazione di grano e cereali destinati all’uomo.

RSI - Il Giardino di Albert

domenica 28 marzo 2010
ore 10:35 su Rete 2

Replica: stesso giorno ore 22:00
ASCOLTA L'AUDIO

Noi e gli altri animali - dal macello al laboratorio

di Clara Caverzasio Tanzi
e Gaetano Prisciantelli

Se niente importa - Perché mangiamo animali? È la domanda emblematica che dà il titolo all’ultimo libro dello scrittore Jonathan Safran Foer, un libro a metà strada tra l’inchiesta e la
riflessione personale sull’origine della carne che mangiamo tutti i giorni, e in cui l’autore denuncia non solo le terribili condizioni in cui vengono allevati gli animali e la crudeltà con cui li si uccide, ma anche il pericolo per la nostra salute che deriva dalle spaventose condizioni igieniche e dai farmaci somministrati negli allevamenti intensivi. Un libro che ha riaperto il dibattito sull’impatto che le nostre abitudini alimentari hanno sull’ambiente.
Ma non solo: oltre a finire nei nostri piatti, gli animali vengono usati anche nei laboratori di ricerca, malgrado esistano ormai da tempo metodi alternativi alla sperimentazione sugli animali. Ne è la riprova l’apertura il 30 marzo prossimo a Costanza del ‘Centro europeo per i metodi alternativi alle sperimentazioni sugli animali (Center for Alternatives to Animal Testing-Europe).
OSPITI:
Jonathan SAFRAN FOER, scrittore americano autore de’ "Se niente importa - Perché mangiamo animali?", Guanda Editore
Umberto VERONESI, oncologo
Gianni TAMINO, Docente alla Facoltà di Scienze naturali dell'Università di Padova e componente Comitato Nazionale per la Sicurezza alimentare, presso il Ministero della Salute italiano
Thomas HARTUNG, Professore di farmacologia e tossicologia alla Università di Costanza, in Germania, e Direttore del Johns Hopkins Center for Alternatives to Animal Testing, negli USA

RSI - Patti chiari

No. 80 – venerdì 26.03.2010
Ore 21.05 – durata 60’

REPLICHE
LA 1 sabato 27.03.10 alle 10.50
LA 2 mercoledì 31.03.10 alle 12.00
VEDI IL VIDEO


Carne truccata

di Paola Leoni, Alessandro Maccagni
e Lorenzo Mammone

Sbloccata l’emissione di Patti chiari sulla fornitura di carne a ospedali, case anziani, asili e privati.
Dopo tre settimane di blocco finalmente Patti chiari può presentare al pubblico la sua inchiesta dal titolo: Carne truccata. La messa in onda dei filmati era stata impedita dall’intervento del giudice del tribunale distrettuale di Prättigau/Davos su richiesta dell’azienda oggetto della nostra indagine. Alla luce delle osservazioni presentate dalla RSI lo stesso giudice ha oggi deciso di permettere la diffusione dei servizi contestati.
L’inchiesta di Patti chiari, durata diversi mesi, era partita da alcune segnalazioni di irregolarità nella fornitura di carne fresca a enti pubblici e clienti privati.
La redazione ha indagato ed ha scoperto pratiche che violano le norme in vigore. L’inchiesta in questione alza il velo sulla lavorazione della carne: informazioni omesse, etichette con date alterate, carne venduta come fresca che tale non è e altro ancora.
La RSI esprime la propria soddisfazione per la decisione del giudice che riconosce così l’interesse del pubblico a essere informato sul contenuto del nostro servizio.
Siamo lieti del fatto che la ditta al centro della nostra inchiesta abbia deciso di rinunciare a ricorrere contro la decisione del giudice, ed abbia invece accettato l’invito a partecipare alla trasmissione. Venerdì 26 marzo un rappresentate dell’azienda sarà presente nello studio di Patti chiari per fornire la sua versione dei fatti e per rispondere agli interrogativi emersi dalla nostra inchiesta.
http://www3.rsi.ch/pattichiari/node/1593
altro servizio di Patti Chiari sugli allevamenti intensivi:
Puntata del 20/11/2009 - CARNE DA MACELLO
http://www3.rsi.ch/pattichiari/node/1443

02/12/2009 - cdt.ch

TF autorizza spot censurato nel '94

Riguarda l'allevamento industriale degli animali

LOSANNA - Il Tribunale federale ha posto fine ad una delle più lunghe vertenze che hanno occupato la magistratura elvetica e i giudici di Strasburgo. La Corte suprema ha autorizzato la diffusione di un spot televisivo contro l'allevamento industriale degli animali, censurato nel lontano 1994.
I giudici hanno accettato la domanda di revisione inoltrata dall'Associazione contro le fabbriche di animali, produttrice della sequenza pubblicitaria. La Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo aveva dato ragione una prima volta all'Associazione nel 2001, poi una seconda, condannando in entrambe le occasioni l'atteggiamento del Tribunale federale. Costretti a riesaminare la vertenza per la terza volta, i giudici federali hanno finito col cedere, riconoscendo che lo spot non contravviene alla disposizione che vieta la pubblicità a sfondo politico. Fondatore dell'Associazione, Erwin Kessler ha fatto sapere che chiederà quanto prima la diffusione della contestata sequenza pubblicitaria.

08.06.09 - UDC Ticino:

Macello cantonale, oggi e domani.

Interrogazione

Lodevole Consiglio di Stato,
é stato recentemente aperto a Cresciano un macello di interesse cantonale gestito della Società anonima Mati. Tale struttura beneficia di ampi sussidi statali (Fr. 1'500'000.– a fondo perso, Fr. 987'500.– credito agevolato LIM) e da altri enti pubblici (fr. 1'200'000.–), da noi non chiaramente identificati.
Alcuni professionisti ci informano che il macello cantonale, che dovrebbe, almeno secondo documenti ufficiali della Società che lo gestisce, macellare tutti i capi di bestiame, presenti parecchie carenze strutturali, carenze che potrebbero metterne in discussione la sua efficienza ed il ruolo che, anche nelle intenzioni dell’ente pubblico, avrebbe dovuto assumere nell’interesse dell’agricoltura ticinese.
In particolare ci risulta che, per il momento, il macello non abbia superato il collaudo ufficiale e che non siano ancora attive linee di macellazione per caprini, ovini (in Ticino ne vengono macellati 3567, fonte Bollettino dell’ufficio federale di veterinaria, 2008) e, a causa di importanti disfunzioni, non sia ancora neppure possibile provvedere alla macellazione dei cavalli con le linee presenti.
Per di più, e qui si tratta di un giusto cavallo di battaglia dei fautori di tale progetto, questa struttura milionaria avrebbe dovuto, almeno in teoria, creare numerosi posti di lavoro nelle valli, ma dalle informazioni assunte non sembrerebbe il caso. Il tutto si fermerebbe ad un unico posto di lavoro a tempo pieno ed alcuni a tempo parziale.
Al di là di questi aspetti di tipo funzionale occorre aggiungere una riflessione sulla futuribile situazione
finanziaria, tutt’altro che rosea se le nostre cifre sono esatte, anzi, fuori dai denti, talmente fosche che ne pregiudicherebbero velocemente la sostenibilità finanziaria. Primo fra tutti il numero di capi totali di bestiame da abbattere in Ticino (Bovini 1689, vitelli 786, suini 4287, fonte UFV 2008) e evidentemente gli introiti che questi abbattimenti possono generare, redditi lordi valutabili con questo numero di animali macellati a grossomodo fr 400’000-450'000.-.
Da notare inoltre che questo calcolo risulta essere realistico solo se tutte le altre piccole e medie strutture di macellazione presenti sul nostro territorio fossero chiuse, cosa che non è il caso.
Nei documenti diffusi dalla Mati viene inoltre evidenziato che la stessa dispone di un capitale proprio di Fr. 500'000.–, mentre che a registro di Commercio risulta un capitale di Fr. 142'000.–.
Fatte queste debite e doverose premesse chiediamo:
1. Corrisponde al vero che non é stata installata nel nuovo mattatoio una linea di macellazione per i caprini e ovini?
2. E’ altrettanto vero che non esiste al momento la possibilità di macellare i cavalli?
3. Il consiglio di Stato é informato del fatto che, sempre che ciò corrisponda al vero, la struttura non sia stata collaudata a causa di importanti carenze funzionali e che lo stesso sia stato procrastinato di 3 mesi?
4. I dati finanziari ufficiali forniti dalla Società anonima Mati sono stati verificati dai competenti servizi cantonali prima di procedere all’erogazione dei sussidi e dei crediti a fondo perso?
5. Il Consiglio di Stato è convinto della sostenibilità finanziaria di questo progetto e della sopravvivenza a lungo termine della struttura?
6. Come intende procedere nei confronti dei macelli di piccole e medie dimensioni, pure presenti sul territorio cantonale, alla luce del fatto che nelle intenzioni della Mati gli stessi dovrebbero essere chiusi?
7. Corrisponde al vero che in bassa Vallemaggia é in corso, da parte di un’associazione privata, la progettazione di una struttura di macellazione che serva la valle e che eviti il trasporto del bestiame fino a Cresciano?
8. Quanti nuovi posti di lavoro sono stati creati nella nuova struttura di Cresciano?
9. Nel caso il nuovo macello non dovesse produrre gli effetti sperati e di conseguenza incontrare delle problematiche finanziarie come intende procedere il Cantone, ne sussidierebbe la gestione fino a pareggio dei conti?
Con ogni ossequio,
Marco Chiesa, Eros Mellini, Gabrele Pinoja, Pierre Rusconi

rtsi.ch

Sempre più batteri nella carne di pollo

I campilobatteri provocano fastidiose diarree negli esseri umani

07.12.2008, 15:35 | Sono sempre più frequenti le infezioni dovute ai campilobatteri nei piatti degli svizzeri attraverso le carni di pollo. I bacilli si sono fortemente moltiplicati in estate e sono la causa di fastidiose diarre negli esseri umani, mentre risultano innocui per gli animali. Lo indica il portavoce dell'Ufficio federale di veterinaria marcel Falk, confermando una notizia riportata dal domenicale Sonntagszeitung. Secondo Falk, i casi di infezione nel pollame sono aumentati del 40% in maggio e del 90% in agosto, mentre in settembre sono scesi al 70%.
Ignota per il momento la causa principale della presenza di questi microrganismi. L'Ufficio di veterinaria consiglia di rafforzare le misure igieniche nei pollai e di ben cuocere le carni prima del consumo. Da gennaio a novembre oltre 7'000 persone sono state colpite in Svizzera dalla diarrea per i campilobatteri, 1'400 casi in più rispetto all'anno precedente.

 

Perché vegan?

vegan numeri

 

 

 




Gli animali sono miei amici e io non mangio i miei amici..” George Bernard Shaw


Assodato quanto il veganesimo sia oggettivamente riconosciuto come una scelta di carattere etico, comprende al suo interno anche altre motivazioni differenti. Le ragioni che possono essere alla base di tale inclinazione sono numerose e diverse e spaziano da questioni religiose, filosofiche a salutistiche ed ecologiche. Il rifiuto di cibarsi d’animali e derivati può dunque nascere da diversi fattori:

  • dalla volontà di riconoscere alla vita animale lo stesso valore, rispetto e dignità attribuibili agli animali umani;

  • dalla consapevolezza delle sofferenze inflitte agli animali allevati, macellati e commercializzati a scopo alimentare;

  • dalla cognizione dei danni provocati alla salute umana da un’alimentazione a base di carne e di grassi animali;

  • dalla presa di coscienza che rinunciare alla carne significa aiutare le popolazioni che muoiono di fame e di sete (sulla base del dato che il 50% dei cereali ed il 75% della soia prodotti nel mondo sono utilizzati per nutrire animali allevati anziché persone e che l’International Water Management Institute ha recentemente calcolato che per produrre un chilo di manzo è necessaria una quantità d’acqua oltre 13 volte superiore a quella necessaria a produrre lo stesso peso in cereali);

  • dalla conoscenza che l’inquinamento dovuto ai nitrati contenuti negli escrementi animali compromette le falde acquifere e contribuisce ad aggravare il problema dell’eutrofizzazione di fiumi e mari;

  • da convinzioni religiose (per lo più orientali) che vedono nella rinuncia agli alimenti animali un’elevazione dello spirito;

  • da ragioni filosofiche che fanno del vegetarismo la forma più elevata d’umanesimo e la filosofia più alta di vita: una scelta che si oppone alla visione antropocentrica dell’esistenza, fondata sul dominio dell'uomo e della tecnica sulla natura fino alle forme estreme d’abuso e distruzione.


Ma vediamo i diversi motivi in dettaglio:

Motivi etici:

gli animali sono esseri senzienti, capaci di provare sensazioni, emozioni, sentimenti, come ben sa chi ospita in casa un cane o un gatto. Da questo punto di vista una mucca o un maiale non sono molto diversi da un cane: sono esseri intelligenti, affettuosi, curiosi. Questi animali sono invece trattati come cose: affinché l’attività di allevamenti, mangimifici, impianti di macellazione e catene di distribuzione sia economicamente compatibile con i livelli produttivi richiesti dal mercato, è necessario che il prezzo di carne, latte e uova rimanga accessibile per il maggior numero possibile di consumatori. Per essere sostenibile, la zootecnia chimica e intensiva deve quindi massimizzare i profitti basandosi sul ribasso delle spese.
Ormai il 99% degli allevamenti è intensivo: gli animali sono allevati in spazi ristrettissimi, senza mai la possibilità di uscire alla luce del sole. Ogni tanto si vedono delle mucche al pascolo, ma si tratta della sola porzione dell’1% di animali più "fortunati", trattati in modo meno cruento. Anche a questi tocca, in ogni caso, la stessa fine degli altri: il macello. Lì sono ammazzati senza pietà, senza alcuna compassione, senza riflettere sul fatto che siano esseri senzienti, ma considerandoli solo "capi" da abbattere.


Motivi di carattere salutistico:

i pericoli per la salute umana che derivano dal consumo di alimenti d’origine animale (carne, pesce, uova, latte e latticini) sono molti, non tutti evidenti e conosciuti dalla maggior parte delle persone, anche se negli ultimi tempi si è iniziato a parlarne. Varie epidemie sono scoppiate, in tempi remoti e recenti, tra gli animali d'allevamento, portando con sé il serio pericolo (in alcuni casi diventato realtà) di contagio animale-uomo.
Gli animali negli allevamenti intensivi sono imbottiti di antibiotici e farmaci di vario genere e i pesci pescati nei mari sono un concentrato delle sostanze tossiche di cui le acque oggi sono "ricche".
Anche tralasciando tutti questi pericoli, rimane il fatto che una dieta a base di alimenti d’origine animale è inadatta all'organismo umano e porta a tutte quelle malattie degenerative che costituiscono le prime cause di morte nei paesi ricchi.

vedi sotto (Carne - alimento incompatibile con la vita umana)


Motivi ecologici:

il mondo industrializzato minaccia l’ambiente naturale in più modi. Di queste minacce, e di come porvi rimedio, si discute con passione da anni in vari ambiti. Viene però sempre trascurato un fattore fondamentale: l’allevamento di bovini e altri animali per l’alimentazione umana.
L'allevamento su vasta scala, sia di tipo intensivo (in grosse stalle senza terra dove gli animali sono stipati, come accade in Italia), sia di tipo estensivo (i grandi ranch degli Stati Uniti o i pascoli nei paesi del Sud del mondo), è chiaramente insostenibile dal punto di vista ecologico. Lo è stato nel passato, ma ogni volta si sono scoperte nuove terre da sfruttare e puntualmente è ricominciata l’invasione dei bovini.
Ormai però, la metà delle terre fertili del pianeta è usata per coltivare cereali, semi oleosi, foraggi, proteaginose, destinati agli animali. Per far fronte a quest’immensa domanda (in continuo aumento, in quanto le popolazioni che tradizionalmente consumavano poca carne oggi iniziano a consumarne sempre di più) si distruggono ogni anno migliaia d’ettari di foresta pluviale, il polmone verde del pianeta, per far spazio a nuovi pascoli o a nuovi terreni da coltivare per gli animali, che in breve tempo si desertificano, e si fa un uso smodato di prodotti chimici per cercare di ricavare raccolti sempre più abbondanti.
Per consumo di risorse, latte e carne sono indiscutibilmente i "cibi" più dispendiosi, inefficienti e inquinanti che si possano concepire: oltre alla perdita di milioni di ettari di terra coltivabile (che potrebbero essere usati per coltivare vegetali per il consumo diretto degli umani), e oltre all'uso indiscriminato della chimica, vi è la questione dell'enorme consumo di acqua in un mondo irrimediabilmente assetato e del consumo di energia, il problema dello smaltimento delle deiezioni animali e dei prodotti di scarto, le ripercussioni sul clima, l'erosione del suolo e la desertificazione di vaste zone. Riguardo al metano (il secondo gas che contribuisce all’effetto serra), il bestiame ruminante ne produce 80.000 tonnellate ogni anno.

Motivi di carattere sociale:

circa 24.000 persone muoiono ogni giorno a causa della fame, della denutrizione e delle malattie ad essa correlate. Di queste circa 18.000 sono bambini. Ciò significa che ogni settimana muoiono circa 170.000 persone, ogni mese circa 700.000, ogni anno quasi 9 milioni. In totale, un miliardo d’individui non ha cibo a sufficienza, mentre un altro miliardo consuma carne in maniera smodata.
E' questo il problema fondamentale: lo squilibrio nella distribuzione delle risorse. L'attuale disponibilità di derrate alimentari potrebbe consentire a tutti gli abitanti del pianeta di assumere un numero sufficiente di calorie, proteine e altri nutrienti necessari. Le produzioni attuali di cereali e legumi sarebbero sufficienti infatti a sfamare tutti, occorrerebbe solo consumare direttamente i vegetali, anziché usarli per nutrire gli animali, con un grave spreco, e ridistribuire le risorse in modo equo.
Il problema della redistribuzione delle risorse non è causato soltanto dallo spreco dovuto allo smodato consumo di carne da parte dei paesi ricchi, che indubbiamente vi contribuiscono notevolmente, ma è correlato a un più ampio e complesso scenario.
Nei paesi poveri sono state incoraggiate le produzioni di cereali destinati all’esportazione e poi utilizzati come mangime per l'allevamento intensivo del bestiame, condannato a mutarsi in tonnellate di carne e a costituire la dieta squilibrata del Nord del mondo; l'emergenza sanitaria è qui costituita dall'obesità e da tutte le malattie connesse alla sovralimentazione e all'eccessivo consumo di prodotti animali, mentre il Sud del mondo si vede sottrarre le proteine vegetali con cui potrebbe garantire la sopravvivenza ai suoi figli.

Motivazioni di tipo economico:

nel mondo, in media, il 50% della forza lavoro è impiegata in agricoltura, con grandi variazioni significative da un paese all'altro: il 64% in Africa, il 61% in Asia, il 24% in America meridionale, il 15% nell’Europa orientale e negli stati ex URSS, il 7% in Europa occidentale e meno del 4% in Canada e USA.
Lo sviluppo tecnologico fa diminuire la forza lavoro necessaria ed il prezzo delle materie prime, ma solo per economie di scala. I piccoli proprietari infatti non possono permettersi i grossi investimenti richiesti da questo genere di agricoltura e si assiste quindi alla continua diminuzione delle aziende agricole a conduzione familiare e all’affermarsi di poche grandi imprese.
Mentre nel passato vi era una simbiosi tra la coltivazione della terra e l’allevamento, dagli anni '50-'60 si è sviluppata in Europa (sulla scia di quanto avveniva negli Stati Uniti) la zootecnia intensiva; questa politica prevede che gli animali vivano in grandi capannoni senza legami con la terra e che i mangimi siano acquistati dall’esterno, spesso anche da altri continenti.
Le tecnologie che hanno consentito questa trasformazione in allevamenti "senza terra" sono state l’introduzione dei mangimi complessi e integrati (un’unica miscela di sostanze nutritive e farmaci), la realizzazione di strutture più razionali ed igieniche e l’uso della chimica negli allevamenti sotto forma di farmaci, vaccini, antiparassitari, che sono somministrati agli animali non quando necessari, ma costantemente, come forma di prevenzione.


I TIPI DI VEGETARIANI:

  • i latto-ovo-vegetariani non mangiano carne ma si nutrono anche di uova e latticini

  • i latto-vegetariani non mangiano carne e uova ma si nutrono di latticini

  • i vegetariani integrali o vegani che si nutrono esclusivamente di alimenti vegetali, vale a dire che escludono dono completamente cibi animali, uova e latticini. I vegani non indossano pelle o pelliccia, lana o cuoio e non comperano prodotti derivanti dalla sperimentazione animale.

Solo una dieta vegana può essere coerente per quanto riguarda tutti gli aspetti sopracitati. Il veganismo è il punto di partenza per uno stile di vita non crudele.



RACCOLTA DI STUDI EPIDEMIOLOGICI SULLA NUTRIZIONE VEGETARIANA E VEGANA A CONFRONTO CON QUELLA ONNIVORA

20 maggio 2014

Nel corso degli anni sono stati fatti parecchi studi sulla nutrizione vegetariana/vegana a confronto con quella onnivora.
In questa nota vi elenchiamo i 22 studi più significativi.

Buona Lettura.

 

1) DIETA VEGAN PRIVA DI GLUTINE E ARTRITE REUMATOIDE


(Karolinska Institutet di Stoccolma - Marzo 2008) - Abolire la carne, le uova, il pesce e i latticini: in altre parole scegliere la dieta vegana per proteggersi da ictus e problemi cardiaci, soprattutto se si soffre di artrite reumatoide. Lo ipotizza una ricerca svedese pubblicata sulla rivista scientifica Arthritis Research and Therapy: i ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma hanno chiesto a 38 persone in buona salute di seguire un regime alimentare di tipo vegano privo di glutine e ad altri 28 volontari di seguire una semplice dieta che prevedeva una riduzione della quantità di grassi saturi e una preferenza di prodotti integrali rispetto a quelli interi

In una dieta vegana, l'apporto quotidiano di energia è costituito per il 10% dalle proteine, per il 60% dai carboidrati e per il 30% dai grassi con una buona quantità di noci, granoturco, frutta, verdura e latte di sesamo per garantire all'organismo la necessaria dose di calcio. Il risultato dell'esperimento, che è durato dodici mesi, ha dimostrato che la dieta vegana è efficace nel ridurre il livello di colesterolo complessivo e di colesterolo cattivo ed è, inoltre, in grado di contribuire a perdere peso e raggiungere un più ottimale indice di massa corporea. Un risultato davvero interessante che, secondo i ricercatori svedesi, può rappresentare un utile suggerimento per chi soffre di artrite reumatoide (circa venti milioni di persone nel mondo), una patologia autoimmune che provoca infiammazioni che possono compromettere la salute della arterie e aumentare il rischio di eventi cardiovascolari.

Johan Frostegard, a capo dell'equipe di studio, ha spiegato che già precedenti ricerche avevano individuato nel regime alimentare vegano la dieta migliore per le persone con artrite reumatoide: "il nostro studio ha dimostrato che la dieta vegana riduce la pressione, abbassa i livelli di colesterolo e l'indice di massa corporea nonché limita l'incidenza di disturbi cardiovascolari".

FONTE:
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/11600749

http://ki.se/ki/jsp/polopoly.jsp?d=130&a=52276&l=en&newsdep=130

 

2) RIDOTTA INCIDENZA DI TUMORI, DIABETE, COLESTEROLO, PRESSIONE ALTA E SINDROME METABOLICA TRA I VEGAN


Tra i 69.120 Avventisti che vanno a comporre lo Adventist Health Study 2 (uno dei più grandi studi di popolazione di sempre), dopo aver distinto e comparato onnivori, latto-ovo-vegetariani, "pesco-vegetariani", "semi-vegetariani" e vegan, questi ultimi sono risultati avere una ridotta incidenza complessiva di tutti i tipi di tumori per entrambi i sessi, del 16% inferiore rispetto agli onnivori, indipendentemente dal genere sessuale, in particolare per i tumori femminili (ginecologici e della mammella, del 34% inferiore). Questo anche dopo la miriade di aggiustamenti statistici prodotti sui dati (etnia, storia familiare di tumori, livello educativo, abitudini di fumo, consumo di alcool, età al menarca, gravidanze, allattamento, uso di contracettivi orali, terapia ormonale sostitutiva e menopausa).

Questi risultati sono di enorme rilevanza per la salute pubblica internazionale se consideriamo che gli Avventisti (indipendentemente dal modello alimentare seguito) sono già di per sè un gruppo sociale a basso rischio di tumori rispetto alla popolazione generale, che gli onnivori seguiti nello studio avevano anche un basso consumo di carne rispetto alla popolazione generale, e che la pubblicazione arriva a solo 4 anni dall'inizio dello studio, quando per rilevare a fondo l'incidenza dei tumori sono spesso necessari anche decenni prima di avere campioni significativi.
La protezione per i tumori della dieta vegan va ad aggiungersi a quella per obesità, diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari, diverticolite e cataratta già emersa negli ultimi anni.

L'articolo scientifico è stato curato da un team di ricercatori della Loma Linda University, e pubblicato su Cancer Epidemiology, Biomarkers & Prevention, rivista dell'American Association for Cancer Research, co-sponsorizzata dall'American Society of Preventive Oncology. I finanziamenti sono arrivati anche da alcune delle più importanti istituzioni al mondo per la ricerca in ambito biomedico-nutrizionale (National Institutes of Health, U.S. Department of Agriculture e, soprattutto, World Cancer Research Fund), che considerano questo studio come parte dei loro stessi progetti di ricerca.

FONTE:
Tantamango-Bartley Y, Jaceldo-Siegl K, Fan J, Fraser G, Vegetarian diets and the incidence of cancer in a low-risk population, Cancer Epidemiol Biomarkers Prev. 2012 Nov 20.
http://www.mediafire.com/view/?gnriadx236h2fmh

 

3) MENO TUMORI TRA I VEGETARIANI


La rivista British Medical Journal nel 1994 ha pubblicato i risultati di uno studio condotto dalla dottoressa Margaret Thorogood della Scuola di Igiene e Medicina Tropicale di Londra, su 5.000 consumatori abituali di carne, il cui stato di salute è stato messo a confronto con quello di 6.000 vegetariani. Si è constatato che nel gruppo dei vegetariani esiste una considerevole minore possibilità di morire di cancro, fino al 40% in meno.Studi precedenti hanno suggerito una diminuzione della mortalità da cancro e cardiopatia ischemica nei vegetariani, ma i risultati avrebbero potuto essere spiegati con livelli ridotti di diversi fattori di rischio tra i vegetariani.In questo studio la riduzione del 40% della mortalità per cancro nei non-mangiatori di carne rispetto ai mangiatori di carne non poteva essere spiegato da differenze di abitudine al fumo, dall'obesità, e dallo stato socio-economico.

FONTE:
M Thorogood, J Mann, P Appleby, K McPherson, Risk of death from cancer and ischaemic heart disease in meat and non-meat eaters, BMJ 1994
http://www.bmj.com/content/308/6945/1667

 

4) CARDIOPATIE E DIETA VEGAN


Nel 1985 il dott. Esselstyn ottenne i risultati più spettacolari mai registrati nella terapia delle cardiopatie. Egli iniziò la sua ricerca con lo scopo primario di portare il colesterolo endogeno dei pazienti al di sotto della soglia dei 150 mg/dl. La dieta che i pazienti seguivano era priva di tutti i grassi aggiunti e di quasi tutti i prodotti di origine animale. "I partecipanti dovevano evitare gli oli, la carne, il pesce, il pollame e i latticini, eccetto il latte scremato e lo yogurt magro". Dopo circa cinque anni dall'avvio del programma vennero tolti anche questi ultimi due alimenti.

Cinque dei suoi pazienti abbandonarono il programma entro i primi due anni; ne rimasero diciotto, tutti gravemente cardiopatici e con numerosi eventi coronarici alle spalle (49, per l'esattezza, compresi angina, infarti, ictus, angioplastica e interventi di bypass).All'inizio dell'indagine, i loro livelli medi di colesterolo erano pari a 246 mg/dl. Nel corso dello studio, il valore medio scese a 132 mg/dl, ben al di sotto dell'obiettivo iniziale di 150 mg/dl.Negli undici anni successivi, fra i diciotto pazienti che seguivano la dieta ci fu per l'esattezza UN evento coronarico. Quell'unico evento colpì un paziente che per due anni aveva abbandonato la dieta: in seguito all'interruzione aveva ricominciato ad accusare angina e aveva successivamente ripreso una sana dieta a base di cibi di origine vegetale, eliminando così l'angina e senza più accusare altri eventi coronarici.La patologia di questi pazienti non era solo stata arrestata, ma se ne era anche ottenuta una regressione. Il 70% dei pazienti del dott. Esselstyn aveva potuto vedere la riapertura delle proprie arterie intasate.E i cinque pazienti che avevano abbandonato il programma dietetico per riprendere la terapia standard? entro il 1995 questi cinque soggetti erano stati vittime di dieci nuovi eventi coronarici.
In base ai dati del 2003, a diciassette anni dall'inizio dello studio, tutti i pazienti a dieta tranne uno sono ancora vivi, prossimi a inoltrarsi nel loro settimo e ottavo decennio di vita.

Riassumendo: 49 eventi coronarici prima della dieta a base di cibi vegetali
0 eventi coronarici per quei pazienti che avevano aderito alla dieta

FONTE:
Esselstyn CB Jr, Ellis SG, Medendorp SV, Crowe TD., A strategy to arrest and reverse coronary artery disease: a 5-year longitudinal study of a single physician's practice., J Fam Pract. 1995 Dec;41(6):560-8.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7500065
http://www.heartattackproof.com/morethan01_intro.htm

 

5) OXFORD VEGETARIAN STUDY


L'Oxford Vegetarian Study è uno studio a lungo termine e su scala nazionale, concernente lo stato di salute di 6000 persone che non consumano carne (soprattutto vegetariani ma anche qualche consumatore di pesce) e di 5000 persone che ne consumano, usate come gruppo di controllo.I livelli di colesterolo totale (CT) e di colesterolo-LDL (LDL-CT) risultarono entrambi significativamente inferiori nei vegani rispetto ai consumatori di carne, mentre i vegetariani e i consumatori di pesce avevano valori intermedi e tra loro simili. Le differenze suggerivano che l'incidenza di coronaropatia (arteriosclerosi coronarica, NdT) può essere inferiore del 24% nei vegetariani e inferiore del 57% nei vegani rispetto ai consumatori di carne.I risultati mostrano che chi non consuma carne ha un minore tasso di mortalità per tutte le cause di morte combinate, cardiopatia ischemica e tutti i tipi di tumori combinati.

Il rapporto complessivo di appendicectomie d'urgenza suggerisce che il rischio dei vegetariani di doversi sottoporre a questa operazione è di circa il 50% inferiore rispetto ai non vegetariani.

Il risultato più impressionante ottenuto dall'analisi dei dati è la correlazione positiva, altamente significativa, tra il consumo di grassi animali e la mortalità per cardiopatia ischemica, essendo essa circa tre volte maggiore tra i partecipanti appartenenti al gruppo caratterizzato dal maggior consumo di grassi animali totali, grassi animali saturi e colesterolo della dieta rispetto al gruppo con minore consumo. Anche il consumo di uova e formaggio è risultato positivamente associato con la mortalità per cardiopatia ischemica, ma non è stato notato nessun effetto protettivo per le fibre, il pesce e l'alcool, come si sarebbe potuto prevedere dai risultati di altri studi.

L'indice di massa corporea media era minore tra i non consumatori di carne rispetto ai carnivori in ogni classe di età, sia per le donne che per gli uomini.Si è pertanto concluso che chi non consuma carne è più magro che chi ne consuma e che questo può essere in parte dovuto al maggiore consumo di fibre, al minore consumo di grassi animali e, solo negli uomini, ad un minore consumo di alcool.

FONTI:
- M Thorogood, R Carter, L Benfield, K McPherson, and J I Mann, Plasma lipids and lipoprotein cholesterol concentrations in people with different diets in Britain., Br Med J (Clin Res Ed). 1987 August 8; 295(6594): 351–353.
- M Thorogood, L Roe, K McPherson, and J Mann, Dietary intake and plasma lipid levels: lessons from a study of the diet of health conscious groups., BMJ. 1990 May 19; 300(6735): 1297–1301.
- M. Thorogood, J. Mann, P. Appleby, and K. McPherson, Risk of death from cancer and ischaemic heart disease in meat and non-meat eaters, BMJ. 1994 June 25; 308(6945): 1667–1670.
- Appleby P, Thorogood M, McPherson K, Mann J., Emergency appendicectomy and meat consumption in the UK, J Epidemiol Community Health. 1995 Dec;49(6):594-6.
- Mann JI, Appleby PN, Key TJ, Thorogood M, Dietary determinants of ischaemic heart disease in health conscious individuals, Heart. 1997 Nov;78(5):450-5.
- Appleby PN, Thorogood M, Mann JI, Key TJ, Low body mass index in non-meat eaters: the possible roles of animal fat, dietary fibre and alcohol, Int J Obes Relat Metab Disord. 1998 May;22(5):454-60.

LINK:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1247209/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC1663050/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2540657/
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/8596094
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9415002
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9622343

 

6) BASSO CONSUMO DI CARNE E LONGEVITA'


L'obiettivo di questo studio, basato su 6 studi di coorte prospettici, è stato quello di esaminare se un consumo di carne molto basso (inferiore al settimanale) contribuisca a una durata di vita più lunga.Si conclude che un modello di stile di vita che comprenda un consumo di carne molto basso è associato ad una maggiore longevità.

FONTE:
Pramil N Singh, Joan Sabaté, and Gary E Fraser, Does low meat consumption increase life expectancy in humans? Am J Clin Nutr September 2003vol. 78 no. 3 526S-532S
http://ajcn.nutrition.org/content/78/3/526S.abstract

 

7) DIETA VEGETARIANA E RISCHIO DI MALATTIE CRONICHE


L'alimentazione vegetariana è associata ad una ridotta mortalità, oltre che per cardiopatia ischemica e malattie cerebro-vascolari, anche per i tumori. Le statistiche di un monumentale lavoroscientifico inglese del 1996, in cui sono stati raccolti dati per abitudini e mortalità di 11.000 vegetariani seguiti per 17 anni, evidenziano che nelle donne vegetariane vi è una riduzione del 44% del rischio di carcinoma mammario rispetto alla mortalità della popolazione generale. Più precisamente, negli uomini è ridotta del 60% la mortalità per cancro dello stomaco, del colon-retto, del retto, dei bronchi e dei polmoni; 65% di mortalità in meno per diabete mellito; 25% in meno per miocardia ischemica, malattie del sistema cardiocircolatorio, dell'apparato digerente, genito-urinario e respiratorio. Anche nelle donne è nettamente ridotta la mortalità per carcinomi bronco-polmonari: 60% in meno per le donne non fumatrici, 35% per carcinoma dello stomaco; l'80% in meno per il diabete mellito, oltre che per malattie dell'apparato respiratorio, digerente, genito-urinario e del sistema circolatorio.

FONTE:
T. J. Key, M. Thorogood, P. N. Appleby, and M. L. Burr, Dietary habits and mortality in 11,000 vegetarians and health conscious people: results of a 17 year follow up., BMJ. 1996 September 28; 313(7060): 775–779.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2352199/ (disponibile il download dell'articolo completo)

 

8) PROGETTO CINA


Il Progetto Cina (China Project) è uno dei più vasti studi epidemiologici mai compiuti al mondo e la più completa indagine sul rapporto tra alimentazione, condizioni ambientali, tradizioni sociali e malattie mai intrapresa in Cina[1], definito dal New York Times « il Grand Prix dell'epidemiologia[2]».
Lo studio è stato diviso in due fasi distinte e separate: una prima indagine ha avuto inizio nel 1983, una seconda indagine è stata intrapresa nel 1989. La disponibilità di dati affidabili su malattia e mortalità forniti dal governo cinese e la presenza di una popolazione stabile con caratteristiche alimentari molto diverse ha reso la Cina un laboratorio vivente ideale per studiare l'impatto di diversi tipi di alimentazione su malattia e mortalità.
I ricercatori del progetto hanno osservato come malattia coronarica, ictus e ipertensione,cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi, principali responsabili di morti premature nei paesi occidentali, in Cina, dove il consumo di prodotti animali era fino a poco tempo fa molto scarso, avevano bassa incidenza, confermando la relazione tra questa classe di patologie e l'assunzione di cibi animali, a sua volta collegata al livello di sviluppo economico. L'evidenza scientifica emersa dal Progetto Cina suggerisce che la concezione occidentale di dieta sia da rivedere radicalmente, e che un'alimentazione basata sui vegetali, come la dieta tradizionale cinese, può offrire molti vantaggi per la salute.
Nel 2005 è stato pubblicato The China Study, basato sui risultati del Progetto Cina, nel quale l'autore, il dottor T. Colin Campbell, responsabile della ricerca e direttore USA del Progetto Cina, esamina la relazione tra cibo e malattie cardiovascolari, cancro e diabete e la possibilità di ridurre il rischio di contrarre queste patologie o arrestare e invertire un loro sviluppo in corso attraverso l'alimentazione.

Il Progetto Cina
Il Progetto Cina è il risultato della collaborazione tra la Cornell University, l'Accademia cinese di Medicina preventiva, l'Accademia cinese di Scienze mediche e l'Università di Oxford. Una prima indagine ha avuto inizio nel 1983 raccogliendo 367 tipi di dati sulla vita e la morte di 6500 adulti sparsi in 138 villaggi e 65 contee, con una quantità di dati raccolti sufficiente a riempire un volume di 920 pagine. Una seconda indagine è stata intrapresa nel 1989 raccogliendo più di 1000 tipi di dati su 10200 adulti e relative famiglie, attraverso 170 villaggi della Cina rurale e di Taiwan: i soggetti sono stati intervistati e studiati approfonditamente, annotando ogni porzione di cibo ingerito e raccogliendo campioni di sangue e urina[3].

La Cina: un laboratorio umano ideale
La Cina ha rappresentato un'occasione unica per studiare le connessioni dell'alimentazione e dello stile di vita con malattie e mortalità. Il consumo dicarne nella dieta della popolazione rurale cinese era, a differenza di oggi, molto ridotto, limitato per lo più a maiale e pollo solo occasionalmente; la popolazione cinese è abbastanza stabile, la maggior parte delle persone passa tutta la vita nella stessa zona alimentandosi con prodotti locali; inoltre l'alimentazione varia considerevolmente da regione a regione, per esempio gli abitanti della sponda nord del fiume Yangtze mangiano pane cotto al vapore e patate dolci, mentre gli abitanti della sponda sud basano la propria dieta sul riso[4]. Gli archivi su malattia e mortalità del governo cinese, con raccolti dati su 800 milioni di persone residenti in circa 2400 paesi, hanno dimostrato che i tassi di mortalità per la stessa malattia potevano variare anche di centinaia di volte da regione a regione[5]. La disponibilità di questi dati affidabili e la presenza di una popolazione stabile con caratteristiche alimentari molto diverse (dalle vaste aree tipicamente rurali alle regioni industrializzate di Nanjing, Beijing e Shanghai) ha reso la Cina un laboratorio vivente ideale per studiare l'impatto di diversi tipi di alimentazione su malattia e mortalità.

Principali risultati del Progetto Cina
I ricercatori del progetto hanno definito polmonite, tubercolosi, malattie infettive, parassitosi, eclampsia, cancro dello stomaco e del fegato comeMalattie della povertà, mentre malattia coronarica, ictus e ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi sono state definite Malattie dell'abbondanza. Queste ultime sono le principali responsabili di morti premature nei paesi occidentali, mentre lo studio ha rilevato che in Cina avevano bassa incidenza, confermando la relazione tra questa classe di patologie e l'assunzione di cibi animali (grassi e proteinein primis), a sua volta collegata al livello di sviluppo economico. Le malattie dell'abbondanza risultarono infatti essere più diffuse tra la popolazione cinese benestante residente nei pressi delle grandi città come Nanjing, Beijing e Shanghai, che seguiva una dieta ricca di cibi animali e povera di cibi vegetali. L'assunzione di anche solo piccole quantità di prodotti animali risultò in grado di aumentare significativamente i rischi di malattia coronarica, cancro e diabete, mentre è stato osservato che maggiore era la percentuale di prodotti vegetali assunti, minore era il rischio di essere soggetti alle stesse malattie[6].
L'evidenza scientifica emersa dal Progetto Cina suggerisce che la concezione occidentale di dieta sia da rivedere radicalmente, e che un'alimentazione basata sui vegetali, come la dieta tradizionale cinese, può offrire molti vantaggi per la salute: i dati emersi dallo studio hanno infatti evidenziato come la dieta della maggior parte dei cinesi che vivevano in zone rurali comprendeva solo 4 grammi di proteine animali al giorno, contro i 71 grammi della dieta occidentale[7]. Il Progetto Cina permette anche di comprendere come l'influenza dell'alimentazione occidentale potrà incidere sulla salute della popolazione cinese[8]. Al termine dello studio, il dottor T. Colin Campbell, responsabile della ricerca e direttore USA del Progetto Cina, e i suoi colleghi cinesi, hanno avvisato i responsabili delle politiche della Cina e la Banca Mondiale di non incoraggiare la crescita dell'industria del bestiame[8].

Obesità
Con il Progetto Cina si è scoperto che il tipo di cibo assunto ha un'influenza sull'obesità maggiore rispetto al numero di calorie assunte. È stato infatti rilevato che i cinesi studiati assumevano mediamente 270 Kcal al giorno in più rispetto agli statunitensi, ma mentre negli Stati Uniti l'obesità è molto diffusa, in Cina questa patologia aveva un'incidenza molto bassa, e l'esercizio fisico può spiegare solo in parte questa apparente contraddizione. Poiché la dieta della popolazione cinese studiata comprendeva il triplo dei carboidrati e solo il 30% dei grassi assunti dagli statunitensi, alcuni ricercatori hanno ipotizzato che i grassi vengano immagazzinati con più facilità dall'organismo, mentre potrebbe essere necessario bruciare un maggior numero di calorie derivanti da amidi per la produzione di energia e calore. Secondo altre ipotesi, i grassi potrebbero contenere non 9 ma 11 calorie per grammo[9].
Colesterolemia e malattie cardiovascolari
È stato osservato che il livello di colesterolo nel sangue (valore direttamente proporzionale al rischio di contrarre malattie cardiovascolari) nei cinesi era considerevolmente inferiore rispetto a quello degli statunitensi, tanto che il valore sopra la norma per i primi corrispondeva al valore più basso per i secondi. Lo studio ha rilevato che la differenza tra i livelli di colesterolo nel sangue è strettamente correlata al consumo di carne (sia rossa che bianca),latticini e uova, fonti di colesterolo e grassi saturi[10]. Il Progetto Cina ha inoltre dimostrato come la carne magra sia dannosa tanto quanto quella grassa nei confronti della colesterolemia[11]. Il confronto dei dati emersi dallo studio con le statistiche degli altri paesi ha inoltre evidenziato che in Cina il rischio di malattia coronarica per gli uomini sotto i 65 anni era 17 volte più basso che negli Stati Uniti[5].

Cancro
Tra i risultati più importanti del Progetto Cina è emersa la stretta associazione tra cibi di origine animale e cancro. È stato rilevato che nei villaggi con diete ricche di carne l'incidenza di cancro era molto più elevata rispetto ai villaggi con diete povere di carne[12].
Cancro della mammella
Il confronto con i dati di altri paesi ha evidenziato nelle donne cinesi una morte per cancro della mammella 5 volte inferiore rispetto alle donne statunitensi[5]. Dal Progetto Cina è emerso come le morti per cancro della mammella siano associate ad elevate assunzioni di grassi e prodotti animali, a elevati livelli di colesterolo, estrogeni e testosterone nel sangue e a menarca precoce e menopausa tardiva. I ricercatori hanno inoltre osservato come l'aggiunta di anche piccole quantità di latte, carne e grassi animali nella dieta tradizionale cinese poteva far aumentare il livello di estrogeni e altri ormoni sessuali potenzialmente nocivi. Inoltre hanno rilevato che le donne cinesi di età compresa tra i 35 e i sessant'anni avevano livelli di estrogeni più bassi rispetto alle donne britanniche e livelli più alti di proteine protettive in grado di modificare il comportamento degli estrogeni nel sangue rendendoli significativamente meno attivi nella stimolazione del cancro della mammella. Lo studio ha anche mostrato che rispetto alle donne cinesi studiate, nelle donne statunitensi il ciclo mestruale ha una durata superiore di 8-10 anni, un periodo di ulteriori ondate ormonali la cui influenza si traduce in un maggior rischio di cancro della mammella. I risultati del Progetto Cina hanno anche confermato e rafforzato l'ipotesi secondo cui diete ricche di grassi, calorie e proteine animali possono accelerare la comparsa delle mestruazioni, determinando quindi un ciclo mestruale di maggiore durata[13].

Cancro del colon
Il Progetto Cina ha confermato la relazione tra cancro del colon, bassa assunzione di fibre ed elevati introiti di grassi. I bassi tassi di incidenza di cancro del colon in Cina durante lo studio sostengono fortemente l'ipotesi che le fibre alimentari giochino un ruolo protettivo in questa malattia. L'osservazione nella popolazione cinese ha infatti evidenziato un'assunzione tripla di fibre da cereali integrali, legumi e verdure rispetto agli occidentali: questo determina un aumento della produzione di feci e un più rapido transito lungo il tratto digestivo, che può quindi compiersi in circa 24 ore riducendo drasticamente il tempo durante il quale la superficie intestinale si può trovare esposta ai carcinogeni presenti nei cibi. Inoltre le feci, molto più morbide e abbondanti, diluiscono gli acidi biliari, potenziali promotori del cancro. Il Progetto Cina ha confermato anche che diete scarse di fibre rallentano il passaggio del cibo attraverso il tubo digerente, così che spesso possono essere necessarie circa 100 ore tra il momento dell'ingestione e quello dell'eliminazione del cibo, mentre diete ricche di grassi aumentano la produzione di bile, che può subire trasformazioni chimiche e diventare carcinogena[14]. I ricercatori hanno anche osservato come nella popolazione cinese bassi livelli di colesterolo determinavano anche una mortalità per cancro del colon chiaramente inferiore[10].

Cancro del fegato
Per lungo tempo si è creduto che il principale fattore responsabile dell'alta incidenza di cancro del fegato nei paesi in via di sviluppo fosse rappresentato dalle aflatossine contenute nei cereali e nei legumi guasti, tuttavia il Progetto Cina non ha rilevato alcuna correlazione che confermasse questa ipotesi. Si è invece osservato che la predisposizione a sviluppare cancro del fegato era determinata dall'infezione cronica di epatite virale di tipo B (60 volte più diffusa in Cina durante lo studio che in Nord America) e da elevati livelli di colesterolo. Lo studio suggerisce dunque che questo tipo di cancro possa non essere una patologia di origine virale-chimica come si pensava in precedenza, ma piuttosto che possa dipendere da cause di tipo virale-alimentare ed essere trattata con un'alimentazione a base vegetale povera di grassi[15].

Cancro dello stomaco
È stato osservato che in Cina l'incidenza di cancro dello stomaco era molto alta, a differenza del Nord America dove è infrequente. Il cancro dello stomaco è spesso correlato a ulcere gastriche, il cui responsabile principale non è lo stress cronico, come si credeva in passato, bensì si suppone che sia il batterio Helicobacter pylori, così come suggerisce il Progetto Cina. L'infezione cronica da Helicobacter pylori era infatti molto frequente in Cina, poiché a causa della scarsa diffusione di frigoriferi la maggior parte delle persone conservava il cibo tramite fermentazione o salatura, processi che non sempre venivano condotti in condizioni controllate, favorendo così la contaminazione batterica. Il Progetto Cina ha tuttavia suggerito che un'alta assunzione di cibi vegetali sia protettiva contro il cancro dello stomaco[16], in particolare è stato osservato che quanto più l'assunzione di vitamina C ebeta carotene era alta tanto più bassa era l'incidenza di cancro dello stomaco[17].

Cancro del polmone
A seguito della propaganda aggressiva delle industrie del tabacco in accordo con i ministeri cinesi dell'agricoltura e dell'economia, la Cina è diventata il paese con più fumatori al mondo. Con il Progetto Cina si è stimato che di tutti i cinesi attualmente in vita, almeno 50 milioni moriranno per cancro al polmone[18].

Osteoporosi
Anche se frequentemente viene raccomandata una consistente assunzione di calcio derivante da prodotti a base di latte per prevenire la fragilità delle ossa, una statura ridotta e le fratture osteoporotiche, i dati del Progetto Cina smentiscono questa posizione. Il consumo di latticini da parte dei cinesi era molto scarso o nullo, essi assumevano quantità di calcio relativamente basse, ottenuto per lo più da vegetali a foglia verde, legumi e cereali, tuttavia in Cina l'osteoporosi aveva un'incidenza molto bassa (per esempio il tasso di prevalenza delle fratture all'anca era pari al 19% di quello degli Stati Uniti). I dati emersi dal progetto Cina indicano che il fabbisogno di calcio è molto inferiore rispetto a quello comunemente raccomandato e che è possibile assumerlo in quantità adeguate dai cibi vegetali, mentre sarebbe necessario ridurre gli introiti di proteine animali, responsabili delle perdite di calcio dalle ossa[19].

Anemia da carenza di ferro
Il consumo di carne è normalmente consigliato per garantire adeguati livelli di ferro e quindi prevenire l'anemia, tuttavia i risultati del Progetto Cina contraddicono anche questa posizione. È stato infatti rilevato che benché i cinesi consumassero pochissima carne, i loro livelli di ferro erano nella norma e l'anemia da carenza di ferro aveva un'incidenza molto bassa. È stato osservato che il cinese adulto medio assumeva quantitativi di ferro doppi rispetto agli statunitensi, quasi del tutto derivante da cibi vegetali, il ferro contenuto nei cibi vegetali è di tipo non-eme, il cui assorbimento è favorito dall'assunzione di vitamina C, abbondante nella dieta cinese. I ricercatori del Progetto Cina hanno dunque concluso che mangiare carne non è necessario per la prevenzione dell'anemia da carenza di ferro. Al contrario, un'attenta revisione dei dati emersi dallo studio suggerisce che eccessive assunzioni di ferro, in particolare se di derivazione animale, possono favorire gli effetti dannosi dei radicali liberi e il rischio di malattia coronarica[20].

Sindrome premestruale e sintomi da menopausa
Dal Progetto Cina è emerso che le donne cinesi riportavano sintomi di sindrome premestruale e sintomi legati alla menopausa, come le vampate di calore, in misura considerevolmente ridotta rispetto alle donne occidentali. I ricercatori dello studio hanno suggerito che il motivo di questa differenza sia da individuare nei livelli di estrogeni, più bassi tra le donne cinesi; gli estrogeni esogeni contenuti in carne e latticini possono inoltre aumentare i sintomi della sindrome premestruale, mentre diete ricche di vegetali assicurano alte assunzioni di magnesio, vitamina B6 e fitoestrogeni, che sembra siano in grado di ridurre i sintomi[21].


FONTI:
1. China: a living lab for epidemiology, Science, 4 May 1990:Vol. 248 no. 4955 pp. 553-555.
2. Brody, Jane E., Huge Study Of Diet Indicts Fat And Meat, The New York Times, 8 maggio 1990
3. (EN) The China Project, Data Collection, pages 6-7
4. (EN) The China Project, Stable Population and Regional Diets, page 5
5. a b c (EN) The China Project, Reliable Statistics, pages 5-6
6. (EN) The China Project, Income-related Disease Clusters, pages 7-9
7. (EN) The China Project, Prostate Cancer, page 12-13
8. a b c (EN) The China Project, Conclusion, pag. 17
9. (EN) The China Project, Obesity, page 9
10. a b (EN) The China Project, Blood Cholesterol, pages 9-10
11. (EN) The China Project, Hearth Disease, page 10
12. (EN) The China Project, Animal Protein: Red Alert!, page 13
13. (EN) The China Project, Breast Cancer, pages 10-12
14. (EN) The China Project, Colon Cancer, page 12
15. (EN) The China Project, Liver Cancer, pages 13-14
16. (EN) The China Project, Stomach Cancer, page 14
17. (EN) The China Project, Antioxidants, page 15
18. (EN) The China Project, Lung Cancer, page 15
19. (EN) The China Project, Osteoporosis, pages 15-16
20. (EN) The China Project, Iron-Deficient Anemia, page 16
21. (EN) The China Project, PMS and Hot Flashes, pages 16-17

 

9) CARNE: UN MALE PER LA SALUTE E L'AMBIENTE


Secondo uno studio pubblicato sul British Medical Journal Open, le persone che avevano consumato minor quantità di prodotti a base di carne rossa e trasformati avevano ridotto rischio di malattie cardiache, diabete e cancro del colon-retto, rispetto a coloro che ne consumano di più. Uomini e donne che hanno consumato la minor quantità di prodotti a base di carne rossa e trasformati avevano rispettivamente, un - 9,7 e 6,4 per cento di rischio ridotto di malattie cardiache, - 12,0 e 7,5 per cento di rischio ridotto di diabete, - 12,2 e 7,7 per cento di rischio ridotto per il cancro del colon-retto.
I ricercatori hanno usato i dati del British National Diet and Nutrition Survey (sondaggi) valutando le diete di 1.724 adulti nel Regno Unito.
Gli autori inoltre hanno osservato che coloro i quali hanno consumato la minor quantità di carne rossa e trasformata, hanno utilizzato 0,45 tonnellate in meno di emissioni di anidride carbonica per anno, rispetto a quelli che ne hanno consumato di più.I prodotti a base di carne rossa e trasformati sono uno dei fattori più negativi delle emissioni di gas a effetto serra.

FONTE:
Aston LM, Smith JN, Powles JW. Impact of a reduced red and processed meat dietary pattern on disease risks and greenhouse gas emissions in the UK: a modelling study. BMJ Open. 2012.
http://bmjopen.bmj.com/content/2/5/e001072.full

 

10) PIU' MAGRI DA VEGETARIANI


Studi osservazionali suggeriscono che una dieta a base di vegetali è inversamente proporzionale all'indice di massa corporea (BMI), il sovrappeso e l'obesità.Essere obesi vuol dire ridurre la propria aspettativa di vita di 10-20 anni. Sostituire i prodotti di origine animale con quelli di origine vegetale contribuisce in maniera significativa al controllo del peso corporeo entro i range di normalità.

FONTI:
- Murtaugh MA, Herrick JS, Sweeney C, Baumgartner KB, Guiliano AR, Byers T, Slattery ML, Diet composition and risk of overweight and obesity in women living in the southwestern United States, J Am Diet Assoc. 2007 Aug;107(8):1311-21.
- Newby PK, Tucker KL, Wolk A, Risk of overweight and obesity among semivegetarian, lactovegetarian, and vegan women, Am J Clin Nutr. 2005 Jun;81(6):1267-74.
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/17659896
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/15941875

 

11) FERRO E DIETA VEGETARIANA


Nonostante i benefici di una dieta a base vegetale, spesso ci si domanda se i vegetariani possano essere a rischio di carenza di ferro, in particolare le donne. In questo studio australiano le donne vegetariane avevano assunzioni significativamente più basse di proteine, grassi saturi e colesterolo e significativamente più alte di fibra alimentare e vitamina C rispetto alle donne onnivore. Le concentrazioni di ferritina sierica sono risultate inferiori nei vegetariani rispetto agli onnivori, tuttavia non vi era differenza di incidenza di anemia.
Altri studi non hanno rilevato un aumento dei casi di anemia in chi seguiva una dieta vegetariana e vegana.

FONTI:
- Madeleine J Ball and Melinda A Bartlett, Dietary intake and iron status of Australian vegetarian women, Am J Clin Nutr September 1999vol. 70 no. 3 353-358
- Anderson BM, Gibson RS, Sabry JH, The iron and zinc status of long-term vegetarian women, Am J Clin Nutr. 1981 Jun;34(6):1042-8.
- Janet R Hunt, Bioavailability of iron, zinc, and other trace minerals from vegetarian diets, Am J Clin Nutr September 2003vol. 78 no. 3 633S-639S

LINK:

- http://ajcn.nutrition.org/content/70/3/353.abstract?sid=44e1f27b-bfc0-4ab4-a69e-862d2c7c8cb4
- http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/7234735
- http://ajcn.nutrition.org/content/78/3/633S.long

 

12) MALATTIE CRONICHE NEI POPOLI NATIVI


In questa recensione, vengono presentati i contributi alla scienza della nutrizione da parte dei popoli nativi dell'America Latina (Maya, indiani Tarahumara del Messico, indiani Yanomami, Indiani Pima dell'Arizona, popolazioni di Lima, del Cile, di San Paolo, di Espirito Santo in Brasile), apprezzati da un punto di vista storico. Inoltre, sono riportati studi epidemiologici e clinici in materia di diete a base vegetale e la loro relazione con la prevenzione e il trattamento delle malattie cardiovascolari condotte negli ultimi decenni.In queste popolazioni, le diete a base vegetale erano e sono associate a fattori di rischio più bassi nello sviluppo di diverse malattie croniche come malattia coronarica, ipertensione arteriosa, diabete mellito, dislipidemie, e sindrome metabolica.

FONTE:
Julio C Acosta Navarro, Silvia M Cárdenas Prado, Pedro Acosta Cárdenas, Raul D Santos, Bruno Caramelli, Pre‐historic eating patterns in Latin America and protective effects of plant‐based diets on cardiovascular risk factors, Clinics (Sao Paulo). 2010 October; 65(10): 1049–1054.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2972603/

 

13) DIETA VEGETARIANA PROTEGGE DALLE MALATTIE CARDIACHE


Questo studio, derivante dall'Adventist Health Study 2, ha dimostrato che tutte le varianti delle diete vegetariane (vegane, lacto-ovo, pescetariane e semi-vegetariane) sono state associate con un rischio notevolmente inferiore di diabete di tipo 2 e inferiore indice di massa corporea rispetto alle diete non-vegetariane. La protezione offerta dalle diete vegan e latto-ovo-vegetariane era più marcata.

FONTE:
Serena Tonstad, Terry Butler, Ru Yan, and Gary E. Fraser, Type of Vegetarian Diet, Body Weight, and Prevalence of Type 2 Diabetes, Diabetes Care. 2009 May; 32(5): 791–796.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2671114/

 

14) OMEGA 3, MEGLIO SE DA VEGETALI


Una ricerca medico-scientifica condotta su oltre 19.000 persone, alla fine del 2010 in Gran Bretagna e i cui risultati sono stati resi noti in un articolo sull'American Journal of Clinical Nutrition, rileva che l'assunzione di omega 3 è più efficiente se questi provengono dai vegetali.Questo dato è incidentalmente confermato da un altro studio fatto su pesci nutriti in modo vegetariano, di cui parleremo a fine di questo articolo.
Tornando allo studio apparso sull'American Journal of Clinical Nutrition, si è visto che vegetariani e vegani provvederebbero autonomamente alle proprie necessità di acidi grassi essenziali omega-3 a lunga catena (presenti nel pesce) ricavandoli dagli acidi grassi omega-3 vegetali, quindi senza dover introdurre nella propria dieta la carne di pesce. Tali grassi sono importanti per il buon funzionamento dei meccanismi metabolici.
E' già noto da tempo come gli omega-3 si possano ricavare molto più facilmente da fonti vegetali, come noci, semi di lino e olio di semi di lino, piuttosto che dal pesce (che ne contiene decisamente meno di quanto si crede, poiché gli omega 3 diminuiscono a seconda il tipo di cottura), ma questo nuovo studio rende ancora più evidente come la fonte privilegiata di questi acidi grassi essenziali sia proprio quella vegetale.
Il Dr Welch e la sua equipe hanno analizzato dapprima 14.422 uomini e donne dai 39 ai 78 anni all'interno dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) e successivamente hanno selezionato 4.902 soggetti nei quali erano stati misurati i livelli plasmatici dei PUFAs (polyunsantured fatty acids: acidi polinsaturi, cioè omega-3 e omega-6).
L'acido alfa-linolenico ALA (precursore degli acidi grassi omega-3 a lunga catena) una volta introdotto nel nostro organismo con l'alimentazione, viene metabolizzato e trasformato in EPA e DHA, entrambi votati a alle fondamentali funzioni organiche quali la formazione delle membrane cellulari, lo sviluppo e il funzionamento del cervello e del sistema nervoso periferico, la produzione di eicosanoidi che regolano la pressione arteriosa, la risposta immunitaria ed infiammatoria.
Lo studio ha mostrato come, a fronte di una minore introduzione di omega-3 attraverso la dieta tipica dei vegetariani/vegani, se paragonata a chi consuma pesce in quantità (con una percentuale che va dal 57% all'80 % di differenza), i livelli di EPA e DHA sono risultati essere pressoché uguali nei due gruppi di campioni studiati.
Ci sarebbe dunque - spiegano i ricercatori - una "efficienza di conversione" in acidi grassi omega-3 a lunga catena significativamente maggiore nei vegetariani/vegani rispetto a coloro che consumano pesce.
L'EPIC rappresenta il più vasto studio di popolazione condotto sui livelli di ALA e sulla conversione in EPA e DHA e, se questi risultati saranno supportati da ulteriori studi, cambieranno le raccomandazioni per la Salute pubblica.

FONTE:
Ailsa A Welch, Subodha Shakya-Shrestha, Marleen AH Lentjes, Nicholas J Wareham, Kay-Tee Khaw, "Dietary intake and status of n-3 polyunsaturated fatty acids in a population of fish-eating and non-fish-eating meat-eaters, vegetarians, and vegans and the precursor-product ratio of alpha-linolenic acid to long-chain n-3 polyunsaturated fatty acids: results from the EPIC-Norfolk cohort", American Journal of Clinical Nutrition November 2010, Volume 92, Number 5, Pages 1040-1051, doi:10.3945/ajcn.2010.29457
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20861171


Un secondo studio correlato fatto su pesci nutrititi in modo vegetariano.

Casualmente, i risultati del primo studio su citato (L'assunzione di omega 3 è più efficiente se questi provengono dai vegetali) sono clamorosamente confermati confrontandoli con un altro studio ( purtroppo cruento ), sostenuto dai ricercatori del progetto europeo 'Aquamax'.I ricercatori si proponevano di studiare i benefici nutrizionali dei pesci allevati in modo vegetariano, cioè con una dieta che sostituisce alcuni degli ingredienti marini con verdure.Sessantadue donne incinte hanno consumato due volte a settimana il salmone nutrito con vegetali; un gruppo di controllo di 62 donne incinte ha consumato la stessa quantità di pesce come avrebbero fatto normalmente, cioè come una piccola parte della propria dieta generale.Nel gruppo che ha mangiato i filetti di salmone di prova, i livelli di omega-3 erano elevati sia nella madre che nel bambino anche se questi salmoni di prova avevano ricevuto meno omega-3 attraverso il mangime che si basava principalmente su ingredienti vegetali. La carne del salmone conteneva lo stesso un'eccellente fonte dei salutari acidi grassi.

FONTE:
http://www.societavegetariana.org/site/uploads/5fe32d03-e3b8-89b4.pdf

 

15) 7 PORZIONI DI FRUTTA E VERDURA AL GIORNO PER ESSERE FELICI


Mangiare tanta frutta e verdura è sempre uno dei consigli più sottolineati da medici e dietologi. E' infatti stato appurato che questo cibo può davvero aiutare il nostro corpo (ma anche la nostra mente) a sentirsi più forte e sano. Ecco infatti, direttamente dalla Gran Bretagna, una novità che farà felici i vegetariani e i vegani: secondo uno studio dell'Università di Warwick in collaborazione con l'US Dartmouth College, effettuato su 80mila inglesi, si è scoperto che le persone con un numero maggiore di pasti a base di frutta e verdura raggiungono un più elevato livello di benessere, o meglio di felicità generale come lo hanno definito gli studiosi. Tutto ciò è dovuto al consumo di almeno sette porzioni di frutta e verdura al giorno. Gli studiosi, per bocca del professor Andrew Oswald del "Centre for Competitive Advantage in the Global Economy " hanno dichiarato di essere particolarmente stupiti del risultato: "Questo studio mostra risultati a dir poco sorprendenti e che ci hanno sbalordito quando li abbiamo analizzati, anche se non è ancora chiaro come si attui questo processo di generale benessere dell'organismo o se abbia qualcosa a che fare con la biochimica. Sappiamo infatti che frutta e verdura contengono molti antiossidanti, ma non abbiamo idea di come questi possano eventualmente agire sulla nostra mente e sulle nostre emozioni." Via libera quindi al consumo di sette piccole porzioni di frutta e verdura al giorno per stare bene: basta introdurre la frutta a colazione, metà mattina e merenda, e la verdura nei pasti principali. Così potremo verificare se il nostro umore migliora davvero oppure no.

FONTE:
David G. Blanchflower, Andrew J. Oswald, Sarah Stewart-Brown, Is Psychological Well-being Linked to the Consumption of Fruit and Vegetables?, 2012
http://www.nber.org/papers/w18469

 

16) STUDIO PILOTA SUL BENESSERE PSICOLOGICO DEI VEGETARIANI


Da una ricerca condotta dalla Benedictine University (sezione Dipartimento di Nutrizione) e dall'Arizona State University pubblicata sul 'Nutrition Journal' emergono dati interessanti che sorridono ancora una volta alla dieta veg.

In questo studio pilota 39 volontari maschi e femmine maggiorenni onnivori sono stati assegnati casualmente a tre diversi condizioni: un gruppo ha continuato a seguire un regime alimentare onnivoro, un altro gruppo ha adottato uno stile alimentare vegetariano con l'aggiunta di pesce 4 volte a settimana, mentre il terzo gruppo ha seguito una dieta essenzialmente vegetariana.

Durante le due settimane dello studio, i volontari sono stati sottoposti ad analisi mediche per verificare i livelli di acidi grassi essenziali, omega 3 (EPA e DHA) e omega 6 come l'acido arachidonico (AA) e a questionari per verificare gli stati d'umore.

Partendo dal presupposto per cui una dieta onnivora tenda ad essere associata a livelli elevati di AA rispetto a quelli presenti in chi segue una dieta vegetariana e visto che le ricerche evidenziano come alti livelli di AA possano determinare cambiamenti nell'umore, attraverso i risultati dello studio pilota si è dimostrato come alla presenza di minori livelli di acidi AA nei veg sia associato anche un miglioramento del tono dell'umore ed una percezione di benessere psicologico.

Insomma, per quanto si tratti ancora di studi esplorativi, sembra che una dieta cruelty-free possa rivelarsi un toccasana non solo per il corpo ma anche per la mente.

FONTE:
Bonnie L Beezhold and Carol S Johnston, Restriction of meat, fish, and poultry in omnivores improves mood: A pilot randomized controlled trial
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q&esrc=s&source=web&cd=1&ved=0CDIQFjAA&url=http%3A%2F%2Fwww.nutritionj.com%2Fcontent%2Fpdf%2F1475-2891-11-9.pdf&ei=497uUNG4G4WLtAa29oCACA&usg=AFQjCNHvdo8LRFQoZRBx-tusVkhWPoI3gw&bvm=bv.1357700187%2Cd.Yms

 

17) NESSUN RISCHIO PER LE OSSA DEI VEGANI


In Occidente, ci sono numeri notevoli di persone che sono classificate come "vegetariane" (che escludono carne e pesce) o "vegane" (che escludono tutti gli alimenti di origine animale). Allo stesso tempo, vi è stato un notevole interesse per quanto riguarda i benefici e gli effetti avversi per la salute di tali modelli alimentari.

Dal punto di vista nutrizionale salute pubblica, è fondamentale affrontare se aderire a particolari abitudini alimentari pone un individuo ad un rischio aumentato o diminuito del decorso della malattia. Dato che siamo in presenza di una epidemia di osteoporosi, abbiamo bisogno di prove definitive su quali fattori esogeni possano migliorare significativamente (o danneggiare) la salute delle ossa nella popolazione ( 1 ).

In questo studio pubblicato nel 2009 sull'American Journal of Clinical Nutrition, il dottor Ho-Pham e altri ricercatori ( 2 ) riportano i risultati di una meta-analisi bayesiana che esamina l'effetto delle diete vegetariane sulla densità minerale ossea. I risultati hanno incluso 2.749 individui (rapporto tra femmine e maschi: 2:1) e ha dimostrato che, nel complesso, la densità ossea è stata inferiore nei soggetti che hanno aderito a una dieta vegetariana / vegana rispetto a coloro che consumano una dieta onnivora, ma ad un livello che è improbabile che sia clinicamente rilevante.

I punti di forza di questo studio sono l'attenta selezione di ricerche per l'inclusione nell'analisi e la rigorosa metodologia di meta-analisi di tipo bayesiano. Ciò detto, questo studio non fornisce le prove "conclusive" che richiedono specialisti della salute pubblica.

In effetti, molti degli studi sul vegetarismo e salute delle ossa pubblicati prima del 1984 (non inclusi in questa meta-analisi) si basavano su Avventisti del Settimo Giorno che avevano uno stile di vita molto diverso rispetto a chi segue una dieta onnivora ( 3 ). In questa meta-analisi bayesiana, in più del 50% degli articoli inclusi, il peso corporeo è risultato significativamente più basso nel gruppo vegetariano rispetto al gruppo onnivoro, ed è ben noto che il peso corporeo è un fattore determinante della densità minerale ossea. È anche importante sottolineare che, nell'articolo di Ellis (1972), che è citato nello studio, ma non incluso nell'analisi, vi era un errore fondamentale nella interpretazione delle misure di densità fotografiche, e le loro conclusioni avrebbe dovuto essere il contrario di quello che ha sostenuto ( 4-7 ).

L'effetto di una dieta vegetariana è estremamente complessa (un punto sottolineato dagli autori) e comprende le differenze di 1 ) i componenti nutrizionali della dieta2 ) fattori di stile di vita, 3 ) le concentrazioni sieriche di estrogeni 4 ) problemi con i metodi che sono a disposizione dei ricercatori per valutare con precisione i nutrienti dei prodotti alimentari di consumo nei gruppi di popolazione.Questa meta-analisi, naturalmente, non ci fornisce tutte le informazioni sui meccanismi di azione. Storicamente, le teorie principali che collegano vegetarianismo allo scheletro sono concentrate sulla presenza di un legame tra omeostasi ACIDO-BASE e lo scheletro e sul presupposto che l'ingestione prolungata di una dieta a base vegetale creerebbe ALCALI (ceneri) e quindi possa essere di beneficio per la salute delle ossa. Considerazioni teoriche del ruolo svolto da minerali alcalini nella difesa dell'organismo contro l'ACIDOSI sono datate fin dal tardo 19 ° secolo, e il lavoro pionieristico di Lemann, Barzel, e Sebastian negli ultimi 30 anni hanno mostrato gli effetti dell' "acido" proveniente dalla dieta, sulle ossa nell'uomo e negli animali ( 8 ). Il lavoro di Arnett e Dempster ( 9 ) e Bushinsky ( 10 ) mostra gli effetti negativi dell'acido sul minerale osseo. E 'impossibile in questa meta-analisi bayesiana risolvere appieno quanto sia importante apporto dietetico sulle conclusioni, perché 2 degli studi non hanno segnalato in dettaglio le assunzioni giornaliere di soggetti. In particolare, sarebbe utile esaminare il rapporto tra proteine e assunzione di potassio totale nel gruppo vegetarianio/ onnivora, questo ci darebbe un'idea della rete di produzione endogena di acido noncarbonic (NEAP), che è importante a causa della crescente consapevolezza del legame tra elevato NEAP (vale a dire, alta acidità alimentare) e più bassi indici di salute delle ossa ( 11 ). Sarebbe anche molto utile per avere informazioni sull'effetto di altri costituenti alimentari che possono essere diversi nei gruppi, compresi i fitoestrogeni e le concentrazioni di vitamina K, nonché il grado di insufficienza di vitamina D ( 12 ).

Sulla base dei risultati di questa meta-analisi bayesiana e delle conclusioni dello studio prospettico di cinque anni sulle variazioni di densità ossea radiale in pazienti anziane bianche americane (che non ha mostrato differenze nei tassi di perdita di massa ossea tra vegetariani e onnivori) ( 13 ), si può concludere che il vegetarismo non è un serio fattore di rischio per frattura da osteoporosi. La ricerca futura dovrebbe concentrare l'attenzione sul fatto che vi siano o meno particolari componenti di una dieta vegetariana / vegana (ad esempio, una maggiore assunzione di frutta e verdura), che offrirebbero vantaggi specifici per lo scheletro, compresa la determinazione delle concentrazioni specifiche che sarebbero richieste per la massima salute delle ossa, e quali sono i meccanismi che influenzano la salute generale delle ossa.


FONTI DELLA PUBBLICAZIONE:

1.World Health Organization. Study Group on Assessment of Fracture Risk and Its Application to Screening and Postmenopausal Osteoporosis. Report of a WHO Study Group. World Health Organ Tech Rep Ser 1994.
2.Ho-Pham LT, Nguyen ND, Nguyen TV. Effect of vegetarian diets on bone mineral density: a Bayesian meta-analysis. Am J Clin Nutr 2009;90:943–50.
3.Marsh AG, Sanchez TV, Chaffee FL, Mayor GH, Michelsen O. Bone mineral mass in adult lactoovovegetarian and omnivorous males. Am J Clin Nutr 1983;83:155–62.
4.Ellis FR, Holesh S, Sanders TA. Osteoporosis in British vegetarians and omnivores. Am J Clin Nutr 1974;24:769–70.
5. Meema HE. Photographic density versus bone density. Am J Clin Nutr 1973;26:687 (letter).
6. Meema HE. What's good for the heart is not good for the bones? J Bone Miner Res 1996;11:704 (letter).
7.Barzel US. Ne'ertheless, an acidogenic diet may impair bone. J Bone Miner Res 1996;11:704 (letter).
8.New SA. The role of the skeleton in acid-base homeostasis. The 2001 Nutrition Society Medal Lecture. Proc Nutr Soc 2002;61:151–64.
9.Arnett TR, Dempster DW. Effect of pH on bone resorption by rat osteoclasts in vitro. Endocrinology 1986;119:11924.
10.Bushinsky DA, Lam BC, Nespeca R, Sessler NE, Grynpas MD. Decreased bone carbonate content in response to metabolic, but not respiratory, acidosis. Am J Physiol Renal Fluid Electrolyte Physiol. 1993;265:F530–6.
11.Frassetto L, Todd K, Morris RC Jr., Sebastian A. Estimation of net endogenous noncarbonic acid production in humans from dietary protein and potassium contents. Am J Clin Nutr 1998;68:576–83.
12.Outila TA, Karkkainen MUM, Seppaene RH, Lamberg-Allardt CJE. Dietary intake of vitamin D in premenopausal, healthy vegans was insufficient to maintain concentrations of serum 25-hydroxyvitamin D and intact parathyroid hormone within normal ranges during the winter in Finland. J Am Diet Assoc 2000;100:434–41.
13.Reed JA, Anderson JBB, Tylavsky FA, Gallagher PN Jr.. Comparative changes in radial bone density of elderly female lactoovovegetarians and omnivores. Am J Clin Nutr 1994;59:1197S–202S.

PUBBLICAZIONE:
Susan A Lanham-New, Is "vegetarianism" a serious risk factor for osteoporotic fracture?, Am J Clin Nutr October 2009 vol. 90 no. 4 910-911
http://ajcn.nutrition.org/content/90/4/910.full

 

18) DIABETE E DIETA A BASE VEGETALE


I grassi e le proteine animali sono state correlate ad un aumentato rischio di diabete. Le popolazioni che seguono un'alimentazione ricca di cibi di origine animale presentano i più alti livelli di colesterolo, che a sua volta è associato intimamente al tasso di diabete[1]. Negli studi alimentari condotti sugli Avventisti, i vegetariani avevano un tasso di diabete pari a circa la metà rispetto ai mangiatori di carne[2]. In uno studio, i diabetici di tipo 2, grazie a tre settimane di dieta totalmente vegetale, hanno potuto sospendere le cure a base di insulina. I diabetici di tipo 1 sono stati in grado di ridurre l'assunzione di insulina del 40% in media[3]. Un altro studio ha ottenuto risultati altrettanto spettacolari[4]. Su quaranta pazienti in cura all'inizio del programma, trentaquattro hanno potuto sospendere del tutto l'assunzione di farmaci dopo soli ventisei giorni.I benefici di un'alimentazione vegetariana tendono a durare per anni se si continua a seguire questa dieta[5]

FONTI:
[1] West KM, and Kalbfleisch JM. "Influence of nutritional factors on prevalence of diabetes." Diabetes 20 (1971): 99–108.
[2] Snowdon DA, and Phillips RL. "Does a vegetarian diet reduce the occurrence of diabetes?"Am. J. Publ. Health 75 (1985): 507–512.
[3] Anderson JW. "Dietary fiber in nutrition management of diabetes." In: G. Vahouny, V. and D.Kritchevsky (eds.), Dietary Fiber: Basic and Clinical Aspects, pp. 343–360. New York: PlenumPress, 1986.
[4] Barnard RJ, Lattimore L, Holly RG, et al. "Response of non-insulin-dependent diabetic patients to an intensive program of diet and exercise." Diabetes Care 5 (1982): 370–374.
[5] Barnard RJ, Massey MR, Cherny S, et al. "Long-term use of a high-complex-carbohydrate,high-fiber, low-fat diet and exercise in the treatment of NIDDM patients." Diabetes Care 6 (1983): 268–273.

 

19) ARTERIE DEI VEGANI PIÙ SANE DEI MARATONETI


Le proteine animali, a differenza di quelle vegetali, contengono un maggior numero di aminoacidi solforati, ossia contenenti zolfo (metionina e cisteina). Tali aminoacidi, quando vengono digeriti e metabolizzati, producono acido solforico. Quindi aumentano il carico acido nell'organismo[1][2], il che significa che il nostro sangue e i nostri tessuti diventano più acidi. L'organismo non gradisce questo ambiente acido e inizia a combatterlo. Al fine di neutralizzare l'acido, il corpo utilizza dei sistemi tampone in cui entra a far parte il calcio, minerale basico, con conseguente perdita di esso dalle ossa e escrezione tramite le urine: il risultato è l'osteoporosi.In questo studio, pubblicato nel 2000, si è scoperto che un elevato consumo di proteine vegetali rispetto a quelle animali è associato ad una drastica riduzione dell'incidenza di fratture[3] (l'immagine raffigura l'associazione fra il consumo di proteine animali rispetto a quelle vegetali e i tassi di fratture ossee in diversi paesi. Più aumenta l'introito di proteine vegetali, minore è l'incidenza di frattura dell'anca).Un altra ricerca ha ottenuto risultati simili: dopo 7 anni di osservazioni, le donne con la proporzione più alta di proteine animali rispetto a quelle vegetali presentavano un numero di fratture ossee 3,7 volte maggiore rispetto alle donne con la proporzione più bassa. Inoltre, nelle donne con il rapporto più alto la perdita ossea è stata quattro volte più rapida rispetto a quelle con il rapporto più basso[4].

FONTI:
[1] Wachsman A, and Bernstein DS. "Diet and osteoporosis." Lancet May 4, 1968 (1968)
[2] Kerstetter JE, and Allen LH. "Dietary protein increases urinary calcium." J. Nutr. 120 (1990):134–136.
[3] Frassetto LA, Todd KM, Morris C, Jr., et al. "Worldwide incidence of hip fracture in elderly women: relation to consumption of animal and vegetable foods." J. Gerontology 55 (2000):M585–M592.
[4] Sellmeyer DE, Stone KL, Sebastian A, et al. "A high ratio of dietary animal to vegetable protein increases the rate of bone loss and the risk of fracture in postmenopausal women." Am.J. Clin. Nutr. 73 (2001): 118–122

 

20) IL CONSUMO DI CARNE NON E' NECESSARIO


In questo studio viene dichiarato che "le diete vegetariane ben bilanciate sono in grado di sostenere la crescita e lo sviluppo normali. Si è concluso che la carne è un optional e non un costituente essenziale della dieta umana".

FONTE:
Sanders TA, The nutritional adequacy of plant-based diets, Proc Nutr Soc. 1999 May;58(2):265-9.
http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/10466165?dopt=Abstract

 

21) DIETA CRUDISTA


Si sa che la cottura distrugge alcune sostanze nutritive e denatura enzimi importanti. La cottura crea anche composti mutageni e pro-infiammatori. Uno studio del 1930 ha dimostrato che il numero di globuli bianchi è aumentato dopo che la gente ha mangiato cibo che era stato cotto, ma non dopo aver mangiato lo stesso cibo crudo. Studi più recenti hanno rilevato che tra i soggetti assegnati ad una dieta vegan-crudista la conta dei globuli bianchi era diminuita.Lo scopo di questo studio era quello di valutare l'effetto di un soggiorno in un istituto vegan-crudista sulla qualità complessiva della vita, alimentare, e sui marcatori infiammatori e immunitari. La maggior parte dei partecipanti erano donne, e molti avevano storie di cancro.A 12 settimane dall'inizio delle misurazioni, i soggetti che avevano soggiornato nell'istituto vegan-crudista hanno riportato una migliorata qualità della vita, in particolare a livello mentale, l'ansia e lo stress. La diminuzione dei diversi tipi di linfociti (globuli bianchi) era coerente con i risultati di altri studi.

FONTE:
Lilli B. Link, MD, MS, Najeeb S. Hussaini, MD, MS, and Judith S. Jacobson, Change in quality of life and immune markers after a stay at a raw vegan institute: a pilot study, 2008
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC2486444/

 

22) POSIZIONE DELL'ACADEMY OF NUTRITION AND DIETETICS


L'ADA è la principale organizzazione dei professionisti dell'alimentazione e della nutrizione degli Stati Uniti ed è una tra le più autorevoli al mondo.

"E' posizione dell'American Dietetic Association che le diete vegetariane correttamente pianificate, comprese le diete totalmente vegetariane o vegane, sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale, e possono conferire benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Le diete vegetariane ben pianificate sono appropriate per individui in tutti gli stadi del ciclo vitale, ivi inclusi gravidanza, allattamento, prima e seconda infanzia e adolescenza, e per gli atleti. [...] I risultati di una rassegna basata sull'evidenza hanno mostrato che la dieta vegetariana è associata a una riduzione del rischio di morte per cardiopatia ischemica. I vegetariani evidenziano, inoltre, livelli inferiori di colesterolo legato alle lipoproteine LDL e di pressione arteriosa, nonché ridotti tassi di ipertensione e di diabete mellito di tipo 2 rispetto ai non-vegetariani. I vegetariani tendono ad avere un ridotto indice di massa corporea (BMI) e ridotti tassi di tutti i tipi di cancro. Le caratteristiche di una dieta vegetariana che possono ridurre il rischio di malattie croniche includono ridotte assunzioni di acidi grassi saturi e colesterolo, e più elevate assunzioni di frutta, verdura, cereali integrali, frutta secca, prodotti della soia, fibre e fitocomposti.
La variabilità delle abitudini dietetiche dei vegetariani rende essenziale valutare in modo individualizzato l'adeguatezza nutrizionale della dieta. Oltre a effettuare questo tipo di valutazione, i professionisti degli alimenti e della nutrizione possono giocare un ruolo chiave nell'educare i vegetariani sulle fonti alimentari di specifici nutrienti, sull'acquisto e la preparazione dei cibi, e su ogni modificazione dietetica necessaria a soddisfare le richieste individuali.

 

FONTI DELLA NOTA:

 



Mangiò carne, poi fu l’incubo

Adele Parrillo

IL VELENO INVISIBILE. Gli spacciatori di cibo contraffatto “rinfrescano e vivificano” carni e norcini aggiungendo finanche nitrati per abbattere la flora batterica e solfiti per mantenere vivo il colore, rendendo prodotti scadenti pericolosi per la salute dei consumatori.

Nel mondo senza etica dove l’unica regola è abbattere i costi e massimizzare il lucro, i professionisti della frode spesso sconfezionano i prodotti, per poi confezionare di nuovo con etichette posticce. Gli spacciatori di cibo contraffatto “rinfrescano e vivificano” carni e norcini: aggiungendo finanche nitrati per abbattere la flora batterica e solfiti per mantenere vivo il colore. Con questo processo creano un prodotto scadente, a volte rischioso per la salute del consumatore. La notizia è apparsa sul quotidiano La Sicilia l’8 febbraio scorso, con quattro anni di ritardo. Il 7 febbraio di 4 anni fa, una studentessa di Scienze Politiche a Catania allora 21enne, Sara Di Natale, arriva nel reparto di rianimazione del Garibaldi in arresto cardiorespiratorio per choc anafilattico. Le salvano la vita, ma i danni cerebrali sono devastanti.

Da allora è in coma vegetativo irreversibile. Sara aveva mangiato carne acquistata da un macellaio di Ca moltania, che ne aveva “vivificato” il colore con solfiti (che sono degli additivi per prevenire l’ossidazione). Le persone asmatiche allergiche all’aspirina, per esempio, hanno un rischio elevato di reazione allergica ai solfiti. Il problema della sicurezza riguarda soprattutto le sostanze somministrate agli animali, presenti come residui nelle carni che mangiamo. I rischi per la nostra salute riguardano principalmente gli antibiotici, il cortisone, gli anabolizzanti e i beta-agonisti o beta-stimolanti. Vediamoli nel dettaglio. Gli antibiotici sono usati per curare gli animali malati, ma anche a scopo preventivo. Nonostante la legge imponga dei limiti da non superare, possono rimanere nella carne macellata. Per noi, assunti in modo indesiderato, oltre ad indebolire il nostro organismo, possono essere inefficaci nel momento Cain cui ne avremmo davvero bisogno.

Il cortisone è un’altra sostanza che è vietata dall’unione europea. Viene somministrato insieme agli anabolizzanti. Serve a dare benessere all’animale a fine ciclo. Lo fa stare bene e mangiare di più. Per passare i controlli, il trattamento con cortisone e anabolizzanti viene interrotto alcuni giorni prima della macellazione. Ciononostante, nella carne ne restano residui. è peraltro noto il problema degli squilibri ormonali nei bambini cosumatori abituali di carne bianca. Poi ci sono gli anabolizzanti: questi prodotti sono vietati dalla legge europea, mentre alcuni di essi sono leciti negli Stati uniti. Servono per aumentare la massa degli animali, soprattutto dei vitelli da latte e dei vitelloni, fino al 10-20% in più, e accorciano i tempi di allevamento.

E arriviamo ai beta-agonisti o betastimolanti: si legano a specifici recettori delle cellule, modificandone il metabolismo a favore della crescita muscolare. (I beta-bloccanti sono veri e propri farmaci utilizzati per la cura delle malattie cardiovascolari e la loro presenza nelle carni, considerando che agiscono in dosi molto basse, è oltremodo indesiderata). Ma c’è una bella notizia. Si chiama “Dna barcoding” (letteralmente codice a barre molecolare basato sul Dna). Si tratta di uno studio condotto alla Rockefeller university insieme con esperti dell’American museum of natural history. Procede come il codice a barre usato per identificare il prezzo dei prodotti al supermercato. La tecnica del “Dna barcoding” riesce a identificare i marcatori genetici dell’animale (o della pianta) usato nel prodotto.

Quindi, anche se quel cibo è stato molto lavorato (cotto o trattato), il test riuscirà ugualmente a dire se si tratta di carne di un certo animale piuttosto che di un altro, perché il Dna non si rovina e resta analizzabile anche dopo la cottura. Secondo studi recenti il consumo di carne è responsabile del 40% delle emissioni totali di CO2 del nostro pianeta. Ciononostante, nessuno di coloro che dicono di battersi per il clima ha mai fatto niente per ridurre un commercio che, solo negli Stati Uniti, è pari a 125 chilogrammi per persona ogni anno. In Italia abbiamo peraltro registrato un preoccupante aumento: dai 57 kg di carne/procapite del 1972 ai 90 kg attuali: un incremento del 50%! Ma se escludiamo i 6 milioni di vegetariani e i vegani (10%) e i circa 2,5 milioni di bambini con meno di 5 anni, il consumo sale a ben 105 kg a testa l’anno.

terranews.it



CARNE, ALIMENTO INCOMPATIBILE CON LA VITA UMANA

Franco Libero Manco

La prova scientifica chimico-biologica che la carne non è un alimento adatto all’essere umano:

Quando si mangia della carne si verifica un aumento anomalo dei globuli bianchi nel sangue, lo stesso meccanismo che si instaura in presenza di una malattia o di un’infezione e questo vuol dire che il nostro organismo interpreta la carne come un pericolo, un elemento estraneo, un aggressore -

Dopo un pasto a base di carne si verifica un aumento dei germi patogeni nell’intestino umano che passano da 2000 a 65000 per millimetro cubo -

L’essere umano, come i primati, è sprovvisto dell’enzima uricasi, ciò che consente agli animali carnivori di eliminare l’acido urico che invece nell’uomo provoca la gotta -

Gli animali carnivori per digerire la carne hanno succhi gastrici 20 volte più potenti dei nostri -

La carne è un alimento biologicamente squilibrato: privo di zuccheri, vitamine, sali minerali, fibra ed oligoelementi. Mangiando carne si introduce nel nostro organismo un eccesso di fosforo che sottrae calcio all’organismo -

La carne ha un forte potere acidificante:l’acidosi sottrae calcio alle ossa -

La carne è un alimento iperproteico: le proteine in eccesso vengono eliminate affaticando reni e fegato ma si possono trasformare in glucidi e grassi di deposito, con probabile produzione di radicali liberi. Aumentando le proteine si aumenta il quantitativo di calcio eliminato con le urine sino ad eliminare un quantitativo di calcio superiore a quelle ingerito sottraendolo alle ossa e ai denti -

Qualunque carne contiene grassi saturi che, come le proteine, lasciano dei residui finali acidi che intossicano l’organismo, rallentano la velocità di digestione, ritardando la secrezione dell’acido cloridrico, riducono il flusso della bile nel duodeno. I cibi iperproteici aumentano le capacità dei grassi di favorire l’arteriosclerosi, le malattie del cuore ed il cancro -

 


PERCHÉ UNA VITA SENZA CARNE?

Nonostante l'uomo si sforzi di nascondere a se stesso la verità la realtà è una sola (e la dimostreremo successivamente): noi non siamo carnivori.
Analizzando con scrupolosità il corpo umano e i suoi processi digestivi, non si può che giungere a questa conclusione.

Per dare un'idea dell'ipocrisia dell'uomo e della commedia che mette in atto per celare la verità, basta ragionare - anche per un solo attimo - sul modo in cui mangia la carne. L'uomo è costretto a camuffare questo cibo - non compatibile con il suo organismo - con una infinita quantità di salse e salsette, non prima di averlo fritto o bollito o invecchiato, e trasformato in mille modi.

Non si rende conto di essere ridicolo?

Se davvero l'uomo è un carnivoro (come molti, anzi moltissimi, credono), perché non mangia la carne come tutti gli altri veri carnivori, e cioè cruda? Sarebbe opportuno porsi di tanto in tanto questo genere di domande, senza dare tutto per scontato e senza dare credito alle altrui opinioni a scatola chiusa.

Molti biologi e fisiologi sono d'accordo nell'affermare che l'uomo, in realtà non è fisiologicamente "costruito" per mangiare carne, e offrono prove estremamente convincenti.

Vediamo quali.

 

CARNIVORI:

Vediamo come avviene la digestione della carne: una volta giunta nello stomaco la carne ha bisogno, per essere digerita, della secrezione di succhi gastrici ricchissimi di acido idrocloridico. I carnivori, infatti, secernono grandi quantità di acido idrocloridrico, atto a sciogliere le ossa.

Il tratto intestinale dove avviene l'ultima parte della digestione, che serve a far passare gli elementi nutrivi nel sangue, deve per forza di cose essere meno lungo possibile: si deve considerare, infatti, che il pezzo di carne altro non è che un cadavere in putrefazione che crea velenosi rifiuti all'interno del corpo. Il carnivoro, quindi, deve
liberarsene il più presto possibile. Il problema, per i non carnivori, è la lunghezza del tratto intestinale, che a volte è lungo addirittura 20 volte il tronco.

Se i non carnivori mangiassero carne, questa rimarrebbe nel loro corpo un tempo troppo lungo, avvelenandoli.

 

ERBIVORI:

Gli erbivori secernono una quantità minima di acido idrocloridrico, non sufficiente a digerire del tutto la carne.


ONNIVORI:

 

..E L'UOMO?

Adesso osserviamo l'uomo:

Fisiologicamente l'uomo è più simile ai mangiatori di piante e agli animali da pascolo e da foraggio (come le scimmie, gli elefanti e le mucche), che non ai carnivori come tigri e leopardi.
I carnivori, ad esempio, non traspirano dalla pelle: la temperatura corporea viene regolata con il respiro accelerato e l'estrusione della lingua. Gli animali vegetariani, invece, sono dotati di pori sudoriferi per eliminare le impurità e regolare la temperatura.

Tutte coincidenze?

I carnivori devono lambire i liquidi (esempio: i gatti), mentre gli animali vegetariani succhiano i liquidi attraverso i denti, come gli uomini.

Pare proprio che l'uomo non rientri né nella classe dei carnivori, né in quella degli onnivori, anzi per alcune caratteristiche fisiche potrebbe essere accostato ai frugivori (come le scimmie) ed in modo minore ai granivori (scoiattoli e topi). Vediamo perché: l'uomo ha una mano pensile come le scimmie e i roditori, atta ad afferrare e cogliere frutti ed oggetti tondeggianti. Se consideriamo la placenta, quella umana è discoidale, come quella delle scimmie antropoidi.

Sembra dunque che l'uomo abbia come cibo elettivo i semi, la frutta, la verdura e gli ortaggi.

Quale conclusione dovremmo dunque trarre da questa breve analisi scientifica?

Esistono prove evidenti del fatto che gli esseri umani non sono adatti a mangiare carne, e chi decide volontariamente di ignorare tali prove, se ne assume tutte le responsabilità.

Fonte: http://web.tiscali.it/vitasenzacarne/perche.htm

 


LATTE, ALIMENTO KILLER

anche per la coscienza

di Franco Libero Manco


MOTIVAZIONI ETICO-SALUTISTICO-ANTROPOLOGICHE

Dopo i primi tre anni di vita l’uomo perde gli enzimi (rennina e lattasi) preposti per la digestione del latte. L’uomo è il solo animale che continua a prendere il latte (dopo lo svezzamento) di un animale che egli considera inferiore sotto l’aspetto intellettivo, emotivo e spirituale.

Tra il latte umano e quello vaccino c’è la stessa differenza tra una donna ed una mucca. Il latte della mucca è adatto al vitello che ha una velocità di crescita 3 volte superiore a quella del cucciolo umano ed una necessità proteica quasi 4 volte maggiore.

I reni di un bambino nutrito con latte vaccino arrivano ad essere un terzo più grossi di quelli di un bambino nutrito al latte di donna: l’ipertrofia è determinata dal superlavoro cui sono sottoposti i reni a causa dell’eccesso proteico del latte vaccino che oltre ad oberare i reni ed il fegato, arreca danni all’ipofisi, alla tiroide e al surrene.

Il latte vaccino nei bambini può provocare sanguinamento gastroenterico; è carente di ferro perchè il fosforo e il calcio che contiene interferiscono con l’assosrbimento di questo minerale. (Dr.ssa Elena Guarnieri, nutrizionista “Viversani”, maggio 2009)

Il latte umano oltre ad avere (in assoluto) il più basso valore proteico, è anche il più dolce. Il cervello umano funziona a glucosio. I glucidi del latte umano, sotto forma di lattosio, sono essenziali per lo sviluppo cerebrale del bambino: sono presenti nel latte umano in misura quasi doppia rispetto al latte vaccino.

Solo il 25-30% del calcio presente nei latticini viene assimilato, il resto viene eliminato con le feci perché i latticini non contengono la vitamina K fondamentale per il corretto assorbimento del calcio. Il latte di vacca, anche se ricco di calcio, quando è nel tubo digestivo umano la maggioranza di esso precipita sotto forma di fosfato di calcio e viene eliminato attraverso le feci. Solo una piccola parte viene assorbita.

Nei formaggi vi è un’alta concentrazione di farmaci, di diserbanti ed additivi. I nitrati (conservanti) si trasformano facilmente in nitrosammine potenzialmente cancerogene. I formaggi stagionati contengono molte proteine, grassi saturi e colesterolo.

EFFETTI

Tre quarti di tutte le allergie e metà dei problemi digestivi del bambino sono causati dal latte vaccino, oltre a casi di asma, di insonnia e di affezioni cutanee.

Il latte produce catarro e muco che si fissa sulle pareti dello stomaco impedendo l’assorbimento delle sostanze alimentari. La caseina del latte è la base di una delle più potenti colle per il legno usata per la costruzione delle navi.

Il latte vaccino apre la strada a: catarro, febbre da fieno, asma, bronchite, raffreddore, allergie, dissenteria, stitichezza, palpitazioni, malattie cardiache, angina, calcoli renali, artriti, spondiliti, tumori e cancro.

Al latte e alle uova sono da attribuire almeno la metà di tutti i cancri maschili e a più di due terzi dei cancri femminili.

Il fosforo presente nel latte vaccino è circa 6 volte maggiore che nel latte umano, questo blocca l’assorbimento del calcio provocando nel lattante una tendenza alla ipocalcemia. Il fosforo serve all’animale per costruire rapidamente il suo scheletro che gli consente di fuggire anche da cucciolo ad un pericolo improvviso.

Rudolf Steiner sostiene che il bambino nutrito con il latte vaccino presenterà da anziano sclerosi ed invecchiamento precoce.

Nel 1942 un’indagine in Scandinavia sui legami tra latte vaccino e l’insorgenza dell’artrite, durata 30 anni, ha dimostrato che il latte vaccino causa il fattore artritico.

Da un’indagine in alcune zone dell’India dove lo yogurt si consuma abbondantemente, pare che il galattosio sia la causa dell’insorgere della cataratta.

I fermenti dello yogurt utilizzano per il proprio sviluppo la vit. B12 che si forma nell’intestino umano provocandone una diminuizione.

Un quinto dell’umanità vive benissimo senza usare latte vaccino: Cinesi, Giapponesi e Coreani...

Il latte di mucca provoca nel bambino carenza di ferro.

L’uomo del paleolitico non usava latte vaccino ma aveva ossa robustissime con una dieta basata su cereali, verdure e frutta.

Il pediatra prof. Marcello Giovannini ed il nutrizionista Ermanno Lanzola sconsigliano il latte vaccino nei primi 12 mesi di vita del bambino perché:

- ha troppe proteine;

- ha meno lattosio del latte umano;

- ha uno squilibrato rapporto di acidi grassi;

- ha valori squilibrati di calcio e fosforo;

- è privo di fattori di difesa specifici;

Il latte umano ha un elevato contenuto di acido linoleico, precursore delle prostaglandine e leucotrieni antiinfiammatori. Al contrario, il latte di vacca é una sostanza infiammatoria al 100%.

Il latte vaccino contiene circa 59 tipi di ormoni (pituitari, steroidei, adrenali, sessuali etc.) tra cui il piú importante l’ormone della crescita veloce dei vitelli.

Il latte puó anche essere contaminato da prodotti chimici, ormoni, antibiotici, pesticidi, pus proveniente dalle mastiti, virus, batteri, prioni...viene arricchito con additivi, vitamine e minerali sintetici, semi, piante, frutti, proteine, acidi grassi... In alcuni casi, anche grassi di animali diversi.

Le sostanze tossiche che con piú frequenza si possono trovare in un bicchiere di latte di vacca sono:

- Metalli e plastica;

- Detergenti e disinfettanti;

- Pesticidi e fertilizzanti;

- Micotossine: provenienti dal mangime che si dá alle vacche;

- Antibiotici ed altri farmaci;

- Diossine.


MALATTIE CONNESSE AL CONSUMO DI LATTE

ANEMIA FERROPENICA; ARTRITE REUMATOIDE E OSTEOARTRITE; ASMA; AUTISMO; CANCRO ALLO STOMACO; CANCRO DELLA MAMMELLA; CANCRO DI OVARIO; CANCRO DI PANCREAS; CANCRO DI PROSTATA; CANCRO AL POLMONE; CANCRO AL TESTICOLO; CATARATTA; COLITE ULCEROSA; DIABETE MELLITUS TIPO 1; DOLORI ADDOMINALI SENZA INTOLLERANZA AL LATTOSIO; MALATTIA DI CROHN; MALATTIE CORONARIE; SCLEROSI MULTIPLA; STITICHEZZA; FATICA CRONICA; INCONTINENZA URINARIA; INTOLLERANZA AL LATTOSIO; LINFOMI; EMICRANIA; ORECCHIE, NASO, GOLA; REAZIONI ALLERGICHE; EMORRAGIE GASTROINTESTINALI; SINDROME DI CATTIVO ASSORBIMENTO; PROBLEMI DI SONNO; ULCERA PEPTICA.

 


IL PROBLEMA DEL CALCIO

Negli Stati Uniti, il paese maggior consumatore mondiale di latte, c’é un’incidenza maggiore di osteoporosi tra la sua popolazione.

Il Progetto di nutrizione Cornell Oxford-Cina, salute e ambiente, che si iniziò nel 1983 con uno studio delle abitudini quotidiane di 6500 abitanti di 65 province disperse nella Cina rurale, una delle ricerche più rigorose effettuate in materia di salute, si provò che le donne che non bevevano latte di vacca non soffrivano di osteoporosi. Se lasciavano questa dieta e introducevano latte di vacca, i loro livelli di calcio si abbassavano e aumentava l’incidenza di questa patologia.

Le ricerche svolte dal dottor John McDougall (medico nutrizionista del ST. Helena Hospital di Napa California, USA) dimostrarono che le donne dell’etnia Bantú che non bevono latte di vacca pur avendo una media di 10 figli e li allattano per lunghi periodi, non soffrono osteoporosi.

Il lavoro del Dr. William Ellis, ex presidente dell’Accademia Americana di Osteopatia Applicata, stabilì che le persone che bevevano da 3 a 5 bicchieri di latte al giorno presentano i livelli più bassi di calcio nel sangue.

Lo Studio pubblicato dall’American Journal of Clinical Nutrition stabilì che l’eccesso di proteine del latte é uno dei fattori più importanti nello sviluppo dell’osteoporosi. Inoltre si dimostrava che fino all’età di 65 anni le donne che non bevevano latte ed erano vegetariane, avevano solo il 18% di perdita ossea, mentre le onnivore avevano una perdita ossea del 35%. Studi più recenti mostrano che con un’ingestione di 75 grammi giornalieri di proteine del latte si perde più calcio nell’urina di quello che si assorbe attraverso la dieta.

 


L’OPINIONE DI JEAN SEIGNALET

Il dottor Seignalet-ematologo, immunologo, biologo e cattedratico di Medicina all’Universitá di Montpellier, a proposito del latte riferisce: “Il pericolo della mancanza di calcio é un’illusione. É vero che il latte di vacca é ricco in calcio, però una volta che si trova nel tubo digestivo umano, l’immensa maggioranza di esso precipita sotto forma di fosfato di calcio e viene eliminato attraverso le feci. Solo una piccola parte viene assorbita. Il calcio assimilabile é apportato in quantità più che sufficiente dai vegetali, ortaggi, legumi secchi, verdure, frutta secca e fresca. Eliminare dall’alimentazione il latte animale non provoca carenza di calcio. Al contrario, il regime alimentare che esclude i derivati del latte, blocca 70 volte su 100 l’evoluzione dell’osteoporosi e permette di recuperare parte del terreno perso”.

 


CONTENUTI DEL LATTE


LA CASEINA


Il bambino lattante assimila completamente la caseina del latte materno ma non quella del latte di vacca. La caseina animale in alcune persone aderisce ai follicoli linfatici dell’intestino impedendo l’assorbimento di altri nutrienti.
Sbarazzarsi dei suoi residui metabolici causa perdita energetica per l’organismo e può provocare problemi immunologici.


I GRASSI


Il latte umano contiene 45 grammi di lipidi per litro, dei quali 55% sono acidi grassi poliinsaturi, e 45% di saturi; ha, soprattutto, un elevato contenuto di acido linoleico, precursore delle prostaglandine e leucotrieni antiinfiammatori. Al contrario, il latte di vacca contiene un 70% di acidi grassi saturi e 30% di poliinsaturi. Inoltre questo 30% di poliinsaturi perde le sue proprietá quando per effetto del calore (tra i 40 º e i 45ºC) si denaturano e non possono essere precursori di sostanze antiinfiammatorie. Per questo il latte trattato per il consumo é una sostanza infiammatoria al 100%.

I bambini che sono soliti bere vari bicchieri di latte al giorno hanno le arterie in peggiori condizioni di quelli che non lo prendono.


LA CARICA ORMONALE


La professoressa jane Plant, autrice del libro “La tua vita nelle tue mani” spiega che l’IGF1 é specialmente attivo durante la pubertà e la gravidanza. Nel caso delle bambine adolescenti quest’ormone stimola la crescita del tessuto della mammella. Durante la gravidanza aumenta i tessuti mammari e i dotti del latte materno per favorire l’allattamento. Alti livelli di quest’ormone incrementano fino a tre volte il rischio di soffrire di cancro della mammella o di prostata da parte di quelli che consumano molto latte, come la carne delle vacche da latte. Nello stesso modo gli estrogeni che si aggiungono al latte bovino sono altri fattori che stimolano l’effetto nocivo di quest’ormone e che indirettamente favoriscono la comparsa di tumori.


SOSTANZE CHIMICHE ESTRANEE


I macchinari utilizzati negli allevamenti per trasportare e immagazzinare il latte possono contaminarlo. Di fatto si é arrivati a trovare in esso ferro, rame, piombo, cadmio, zinco o loro residui.

Formiolo, acido borico, acido benzoico, sali alcalini, bicromato di potassio etc: sostanze che si usano nella pulizia e disinfezione del materiale che viene a contatto col latte. Il suo uso viene giustificato dal fatto che l’acqua da sola é incapace di trascinare i resti di materia organica e distruggere i batteri che contaminano le istallazioni e che possono passare al latte.

Nel mangime che si dà alla vacca si possono trovare composti chimici: acaricidi, nematicidi, fungicidi, rodenticidi, erbicidi, DDT, dieldrin, lindano, metoxicloro, malation, aldrin etc...che possono causare il cancro.

Provenienti dal mangime che si dà alle vacche, quando é contaminato da muffe, specialmente Aspergyllus flavus.

Impiegati nel trattamento e prevenzione delle malattie infettive e parassitarie delle vacche: possono passare al latte contaminandolo. La maggioranza delle industrie casearie usano circa 60 tipi di trattamento chimico per trattare i gonfiori del capezzolo dopo ogni minzione e per ridurre la propagazione della mastite nei branchi.

Derivati del cloro sono relazionati col cancro di polmone ed i linfomi. La esposizione alla diossina é stata messa in relazione con il diabete, i problemi di sviluppo del bambino e diversi problemi di squilibrio del sistema immunitario.

 


MALATTIE CONNESSE AL CONSUMO DI LATTE

 

Il Dr. Frank Oski (direttore del dipartimento di Pediatria della scuola di medicina dell’Universitá John Hopkins (USA) asserisce che nel suo paese tra il 15 e il 20% dei bambini minori di due anni soffrono anemia ferropenica e che la metà del resto delle anemie che si producono negli USA sono relazionate con il consumo di latte e suoi derivati a causa delle piccole emorragie gastrointestinali che il latte può provocare.

Si é constatato che i complessi antigene-anticorpo generati dal latte si depositano a volte nelle articolazioni provocandone infiammazione e tumefazione. Studi realizzati nell’Universitá della Florida (USA) confermano che i sintomi si aggravano in pazienti, che consumano latte, con artrite reumatoide. In un articolo pubblicato nella rivista Scandinavian Journal of Rheumatology, si affermava che in persone affette da questa patologia quando smisero di ingerire latticini e bevvero solo acqua, té verde, frutta e succhi vegetali entro 7 e 10 giorni l’infiammazione e il dolore diminuirono significativamente: quando uno tornava a una dieta latto-ovo-vegetariana i sintomi riapparivano. Un gruppo di ricercatori israeliani dimostrò nel 1985 che il latte può indurre anche l’artrite reumatoide giovanile.

Il latte può stimolare la produzione eccessiva di muco nelle vie respiratorie. L’allergia al latte é causa di asma. I bambini con eccesso di muco e difficoltà respiratorie ai quali si toglie il latte di vacca migliorano in modo sorprendente.

I sintomi neurologici dei pazienti autistici peggiorano quando consumano latte o grano. Si crede che i peptidi del latte possano avere un effetto tossico nel sistema nervoso centrale interferendo con i neurotrasmettitori. Nelle loro ricerche i dottori dell’Universitá di Roma notarono un miglioramento marcato nel comportamento di questi malati dopo aver smesso di ingerire latte per otto settimane. Nel loro sangue c’erano alti livelli di anticorpi contro la caseina, la lattoalbumina e la betalattoglobulina.

Ricercatori dell’Istituto Nazionale di Salute Pubblica di Morelos (Messico) trovarono un aumento significativo di rischio di contrarre cancro allo stomaco in pazienti che consumano latticini: in quelli che consumavano anche carne, il rischio triplicava.

Il latte é considerato da molti esperti causa diretta di questo tipo di cancro. Se a questo si aggiunge l’influenza dell’ormone insulinico, le probabilitá di contrarlo aumentano considerevolmente nelle grandi consumatrici di latte.

Il galattosio (uno degli zuccheri del latte) é stato messo in relazione anche con il cancro dell’ovario. Alcuni ricercatori affermano che le donne che bevono più di un bicchiere di latte intero al giorno hanno tre volte più probabilità di contrarre cancro di ovario rispetto a quelle che non ne bevono.

Ricercatori dell’ Universitá di Harvard (USA) affermano che esiste una relazione “positiva e forte” tra il cancro del pancreas e il consumo di latte, uova e carne.

Secondo il Dr. Chan (epidemiologo dell’Universitá di Harvard) il consumo di molto latte e suoi derivati é associato con un incremento del rischio di cancro di prostata nell’uomo. Ciò può essere dovuto al fatto che l’alto contenuto di calcio nel latte fa diminuire la quantitá di vitamina D del corpo incaricata di proteggere dal cancro di prostata.
Epidemiologi italiani del Aviano Cancer Center calcolarono che se si prendono due o più bicchieri di latte al giorno il livello di rischio di soffrire questo cancro aumenta 5 volte. Un altro studio (realizzato dalla stessa equipe di ricercatori dimostrò che gli uomini che consumano grandi quantità di latte e/o latticini hanno un 70% di rischio in più di contrarre cancro di prostata. Il consumo di latte scremato é associato con un maggior incremento rispetto a quello intero.

Ricercatori olandesi nel 1989 hanno concluso che le persone che bevono due o più bicchieri di latte al giorno hanno una probabilità 2 volte maggiore di sviluppare cancro al polmone di quelle che non lo bevono. Le persone che bevono questa stessa quantità di latte scremato sembrano essere più protette. Inoltre si é documentato che esiste una relazione diretta tra l’ormone somatotropina e il cancro al polmone, e tra questo e la diossina che contamina il latte. In un articolo pubblicato nel giornale americano The Washington Post, si affermava che le persone che consumano grandi quantità di grassi (carne e latticini) sono 10 volte più predisposte a contrarre il cancro, specialmente di polmone.

Ricercatori britannici scoprirono che esiste una relazione tra il cancro testicolare e il consumo di latte. Il rischio incontrato fu 7,19 volte maggiore rispetto alla popolazione generale e aumenta di un 1,39 per ogni quarto di litro di latte in più che si consuma.

C’é una crescente evidenza della relazione tra il consumo di latte e la cataratta. Secondo diversi studi scientifici le popolazioni umane che consumano grandi quantità di latticini hanno una maggior incidenza di cataratta rispetto a quelli che lo evitano. Questo difetto é stato posto in relazione con il lattosio e il galattosio.

Anche in questo disturbo è stato associato il consumo di latte.

Ci sono diversi studi che mettono in relazione il consumo di latte con lo sviluppo di questa patologia.

Diversi studi dimostrano che i lattanti alimentati con latte di vacca presentano un maggior rischio di soffrire di diabete insulino dipendente. Uno studio pubblicato nella Rivista di medicina della Nuova Inghilterra identifica il latte come “elemento responsabile o fattore scatenante in alcune persone geneticamente sensibili”. Eliminare il latte e derivati dalla dieta infantile potrebbe diminuire drasticamente l’incidenza di questo tipo di diabete.

Il Dottor John Hermon-Taylor, direttore del Dipartimento di Chirurgia della Scuola di Medicina dell’Hospital St. George (Gran Bretagna) afferma: “Dopo aver studiato la malattia di Crohn per 20 anni, la Paratubercolosi é indubbiamente associata a questa patologia e che questo microorganismo si trasmette fondamentalmente attraverso il latte perché la pastorizzazione non lo distrugge”. In uno studio realizzato tra il 1990 e il 1994 sui contenitori per il latte si trovò che il 7% di essi erano contaminati con la Paratubercolosi.

Numerosi ricercatori relazionano alcuni componenti del latte (il colesterolo, i grassi, il suo alto contenuto in calcio, la presenza di xantina ossidasi, etc.) con questo tipo di problemi. L’enzima bovino xantina-ossidasi causa problemi quando il latte é omogeneizzato: il suo danno si centra nei vasi sanguigni. Sembra che questo enzima
attraverserebbe intatto le pareti intestinali facendosi trasportare dal sangue e distruggerebbe il masmogeno, uno dei componenti della membrana delle cellule che formano il tessuto cardiaco. Uno di questi ricercatori é il dottor Kurt Oster, capo di servizio di cardiologia dell’ospedale Park City a Bridgeport (USA), durante un periodo di quasi 4 anni studiò 75 pazienti che soffrivano di angina pectoris e arteriosclerosi. Quando si eliminò il latte dalla loro dieta e gli si dette acido folico e vitamina C (entrambe combattono la xantina-ossidasi) il dolore diminuì. Il dottor Kurt Esselbacher ( dell’Universitá di Harvard) afferma che: “Il latte omogeneizzato, dovuto al contenuto di xantina- ossidasi, é uno delle cause maggiori di malattie coronarie negli Stati Uniti”. Studi realizzati in Russia secondo i quali chi beve tre o più bicchieri di latte al giorno ha 1,7 volte più probabilità di soffrire malattie ischemiche cardiache di chi non ne consuma. Il consumo abituale di latticini aumenta il colesterolo cattivo (LDL). Anche il consumo di proteine lattee sembra avere una relazione diretta con la mortalità coronaria. Inoltre le proteine del latte contribuiscono alla formazione di omocisteina: la connessione tra il latte, il lattosio, il calcio e l’omocisteina potrebbe essere responsabile della calcificazione delle arterie.

Scienziati dell’Università di Michigan (USA) hanno potuto stabilire una relazione tra la sclerosi multipla e un eccessivo consumo di latte.

Il latte é causa accertata di stitichezza in bambini ed anziani. La sua eliminazione dalla dieta e un maggior consumo di verdure e fibra di solito risolve questo problema. Allo stesso modo, tanto la stitichezza cronica come le lesioni perianali sono state associate ad una chiara intolleranza al latte di vacca.

Secondo uno studio realizzato con bambini a Rochester (New York) nel 1991, bere latte aumenta 44,3 volte il rischio di soffrire questa malattia.

Molti bambini che bagnano le lenzuola smettono di farlo quando eliminano dalla loro dieta il latte, i prodotti che lo contengono ed i loro derivati.

Il lattosio, zucchero del latte, per essere utilizzato dal nostro organismo deve essere previamente idrolizzato per mezzo di un’enzima chiamato lactasi, che sparisce lentamente quando cominciano a crescere i denti. Nella razza bianca la lactasi resta per più tempo che nella razza negra. Nella maggior parte delle persone che non producono lactasi, o lo producono a livelli molto bassi, il lattosio non idrolizzato passa all’intestino dove viene attaccato dai batteri generando fermentazione, meteorismo, coliche, diarrea, etc. oltre che irritazione delle pareti intestinali, micro-ferite con perdite di sangue che possono provocare carenza di ferro. Inoltre il lattosio può favorire l’assimilazione dei metalli pesanti come il cadmio, il mercurio e il ferro ed altre sostanze tossiche.

In uno studio realizzato nell’Università di Bergen (Norvegia) durante un anno e mezzo con quasi 16.000 pazienti si osservò che le persone che consumano due bicchieri di latte al giorno presentano un rischio 3,4 volte maggiore di soffrire di linfoma rispetto a quelli che ne bevevano di meno. Pare che il latte di vacca possa trasmettere il virus della leucemia bovina. Questo stesso studio trovò un’associazione, anche se debole, tra il consumo di latte e il cancro ai reni ed agli organi riproduttivi femminili. Un altro meccanismo attraverso il quale si può contrarre linfoma é il latte contaminato con diossina.

Si é provato sperimentalmente che quando si sopprime il latte dalla dieta di pazienti affetti da emicrania si riducono significativamente i sintomi.

Nel 1994 la rivista Natural Health pubblicava una serie di scoperte che relazionano al latte l’aumento di infezioni di orecchie e gola. Gli studi dimostrano che le tonsille e le adenoidi si riducono quando si limita il consumo di latte.

L’allergia alle proteine del latte di vacca é una reazione dei meccanismi immunologici a una o piú proteine del latte (caseina, alfa lattoalbumina, betalattoglobulina). Attualmente molti studi medici riconoscono la relazione tra il latte e le reazioni allergiche stabilendone la prevalenza tra un 2 e un 5% della popolazione mondiale.

Dovute all’intolleranza alle proteine del latte di vacca nei bambini sono state adeguatamente documentate. Il sanguinamento é cosí serio che si colloca come una delle cause più comuni di anemia nei bambini.

Ricercatori dell’Universitá di Helsinki (Finlandia) hanno provato la relazione tra le proteine del latte e il danno alla mucosa intestinale. Questo danno é caratterizzato da diarrea cronica, vomito e crescita ritardata.

Studi realizzati nell’Università Free di Bruxelles tra gli anni1986 e 1988 confermarono la relazione tra il consumo di latte ed i problemi di sonno nei bambini. Tutti i sintomi miglioravano quando si escludeva il latte dalla dieta e peggioravano quando lo si riintroduceva. Il tempo medio per notare un miglioramento era di 5 settimane. Anche l’ agitazione che manifestavano i bambini diminuiva.

Il latte e derivati aggravano tutti i sintomi. Il sollievo temporaneo che in passato sentivano questi pazienti era dovuto semplicemente al fatto che normalmente il latte lo si beveva freddo ed era la temperatura del liquido che faceva migliorare temporaneamente la situazione.

Acidosi lattea associata all’allergia al latte di vacca; difficoltà di apprendimento in bambini e, alcuni casi, infertilità femminile. Le madri che bevono latte di vacca durante il periodo dell’allattamento espongono i loro figli ai rischi associati a quest’alimento.

 


DANNOSITÀ DEI PROCESSI DI TRATTAMENTO DEL LATTE


L’omogeneizzazione.

Un processo meccanico mediante il quale si riduce la misura delle particelle di grasso del latte evitando che la crema si concentri nella superficie. Si spara un getto di latte a pressione contro una placca di acciaio ad una temperatura tra 50 e 60ºC: si ottiene un latte più bianco che si mantiene liquido nel contenitore ma si rompono anche gran parte delle strutture lipidiche e proteiche. Secondo alcuni esperti, diminuire di 10 volte la dimensione delle particelle di grasso può far aumentare il rischio di soffrire attacchi al cuore in quelli che ne consumano grandi quantitá, probabilmente a causa dell’enzima bovino xantina-ossidasi che attraversa intatto le pareti intestinali e, utilizzando il sangue come veicolo, distruggerebbe il masmogeno, un componente delle membrane cellulari del tessuto cardiaco.

Pastorizzazione.

Consiste nell’applicazione di alte temperature per un determinato tempo. Con questo metodo si distrugge la maggior parte dei microorganismi che possono alterare il latte, ma non tutte le spore: si ottiene il latte fresco del giorno che si mantiene in condizioni adeguate solo per 2 o 3 giorni. Esistono due tipi di pastorizzazione: quella alta (che dura 15 secondi ad una temperatura di 72ºC) e quella bassa (che dura 30 minuti a 65ºC). Il latte é poi sottoposto ad un raffreddamento rapido, ma se quest’ultimo trattamento non avviene in forma corretta possono germininare le spore che sono sopravvissute al trattamento termico. Inoltre con questo metodo si produce la coagulazione delle proteine e si perde il 5% delle vitamine B1 e B6, il 10% della B12 e il 25% della vitamina C. La pastorizzazione disgrega calcio, magnesio e fosfati indispensabili per la formazione delle ossa, oltre a causare parziale coagulazione delle proteine.

Sterilizzazione.

Un processo che combina alte temperature in un tempo abbastanza lungo: si assicura l’assenza di germi patogeni e tossine ed il prodotto si mantiene in buone condizioni per un tempo più lungo. Con questo processo si perdono però le vitamine B1, B2, B3, B6, B12, A, C, D ed alcuni amminoacidi essenziali.

UHT.

Latte che é stato trattato a temperatura molto alta per un tempo molto corto. Con questo metodo le alterazioni biochimiche a danno delle proteine sono molto importanti.


TIPI DI LATTE DI VACCA


Latte intero.

Presenta il maggior contenuto di grasso del latte. Il suo apporto calorico e di colesterolo é molto elevato: un bicchiere di latte apporta 7,2 grammi di grasso e 123 calorie. L’impatto di questa sostanza sul sistema cardiovascolare è molto significativo.

Latte scremato.

Ha meno calorie del latte intero. In funzione della quantità di grasso si chiama “scremato” (<0,18%) o “semiscremato” (0,5-2%). Ha un sapore più gradevole ma il suo valore nutritivo è scarso.

Latte condensato.

Latte al quale si toglie circa un 60% del contenuto acquoso e gli si aggiunge un 40% in peso di zucchero per impedire la proliferazione di batteri.

Latte in polvere.

Si ottiene scaldando il latte liquido fino a fargli perdere circa il 60% dell’acqua che contiene. Nel processo si perdono tra un 25 ed un 50% delle vitamine idrosolubili (vitamina C e complesso B).

Formaggi.

Le materie prime utilizzate possono essere molto diverse, come i processi di elaborazione: tutti hanno bisogno della coagulazione della caseina per mezzo del caglio. Il caglio si elabora con mucosa seccata della quarta cavitá stomacale dei ruminanti e, a volte, del maiale. Perciò nutrendosene si ingerisce un derivato animale.




UNA STORIA REALE

 

La storia della professoressa Jane Plant, goechimica e capo scientifico del British Geological Survey è un esempio significativo per molte donne: é sopravvissuta a 5 tumori della mammella e alle pratiche mediche convenzionali per trattare i suoi cancri. Lo ha fatto, come ella stessa afferma, eliminando tutti i latticini dalla sua dieta.

“Soffrii l’amputazione di una mammella, mi sottomisero a radioterapia e a chemioterapia molto dolorosa. Mi videro specialisti tra i più eminenti del mio paese: dentro di me sentivo che stavo per morire e fui al punto di arrendermi”
racconta la professoressa Plant nel suo libro (La tua vita nelle tue mani) e racconta la propria esperienza e come arrivò all’idea che le ha salvato la vita.

“All’origine di un viaggio con mio marito in Cina cominciai a pensare che la mia malattia era inesistente in quel paese. Di fatto solo una tra 10.000 donne muore di cancro al seno in Cina mentre solo nel Regno Unito le cifre officiali parlano di una ogni 12. Allora con mio marito (uno scienziato) cominciammo a studiare il modo di vita e l’ alimentazione delle orientali fino a che arrivammo all’idea che mi salvò la vita: le donne cinesi non si ammalano di cancro al seno, né gli uomini sviluppano tumori prostatici perché sono incapaci di tollerare il latte e, pertanto, non lo prendono. I cinesi non utilizzano mai il latte e tanto meno per allattare i loro bambini!

Non è una casualità che piú del 70% della popolazione mondiale sia incapace di digerire il lattosio. Allora decisi di sopprimere completamente l’ingestione di latticini, compresi tutti gli alimenti che contengono un po’ di latte: zuppe, biscotti, dolci, margarine etc... E cosa successe? In solo pochi giorni il tumore cominciò a ridursi. Due settimane dopo il tumore cominciò a prudere. Dopo diventò più blando e cominciò a diminuire. Sei settimane dopo era sparito. Il mio oncologo del Charing Cross Hospital di Londra non poté reprimere un’esclamazione di meraviglia: “Non lo trovo!”.
Indubbiamente non si aspettava che qualcuno con un cancro tanto avanzato (che aveva invaso il mio sistema linfatico) potesse sopravvivere”.

Piú di 60 donne che soffrivano di cancro al seno si misero in contatto con lei per domandarle consiglio. I loro tumori sparirono.

La Plant spiega che la relazione tra i latticini e il cancro al seno é simile a quella che esiste tra il tabacco e il cancro di polmone. Ma non solo questo. Ad esempio nel 1989 il dottor Daniel Cramer (dell’Universitá di Harvard) determinó che questi prodotti sono implicati anche nella comparsa del cancro di ovario. E i dati sul cancro di prostata conducono a conclusioni simili. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) afferma che il numero di uomini che soffre questo cancro in Cina é dello 0,5 per ogni 10.000 persone, mentre nel Regno Unito la cifra é 70 volte maggiore, La chiave sta dunque, senza dubbio, nel consumo di latticini.

Per la professoressa Plant il latte di vacca é un grande alimento... ma solo per il vitello! Ed afferma che la natura non lo ha destinato ad essere consumato da nessun’altra specie. “Spero che la mia esperienza possa servire a più donne ed uomini che, senza saperlo, possono star male a causa dei latticini che consumano.

 


Il latte: a ciascuno il proprio

Tratto da “MRA il Metodo René Andreani” - www.vegetarian.it
Igienismo - la Scienza della Salute

Il latte della donna fa bene al neonato, quello della mucca fa bene ai vitelli.

“Fino a due anni i bambini dovrebbero essere alimentati con latte materno. Dopo i due anni, dimenticate ogni tipo di latte!”. Questa vera e propria bomba è stata fatta esplodere agli inizi degli anni novanta dal celeberrimo dottor Benjiamin Spock, padre della moderna pediatria. Questa inversione di tendenza portò il dottor Spock ad abbracciare le tesi che da anni molti medici ed esperti (nonché vegan, macrobiotici ed igienisti) propugnano: il latte vaccino fa male, soprattutto in fase di crescita, perché può provocare molte deficienze immunitarie e disturbi vari, tra cui l’anemia, allergie e persino un insufficiente sviluppo cerebrale. In America e in Italia in molti si scagliarono contro Spock, definendo “vecchio arteriosclerotico” questa vera “leggenda della puericultura” che, a 89 anni suonati, ebbe il coraggio intellettuale di ammettere i propri errori e di dichiarare che il latte di vacca è adattissimo ai vitelli, ma non agli uomini.

L’uomo è l’unico animale che continua a nutrirsi di latte anche dopo lo svezzamento.

Che sia il desiderio di non diventare mai adulti? Il latte vaccino è un cibo per vitelli, non per l’uomo. Serve a far crescere un vitello e a farlo assomigliare ad una mucca, ma sicuramente non per aiutare un bambino a diventare un uomo. Per questo la natura ha predisposto il latte materno. La madre, nella società moderna, ha sempre più spesso rinunciato ad allattare al seno il proprio neonato (bassissime le percentuali alla fine degli anni sessanta), un po’ per motivi di tempo (essendo inserita nel frenetico processo produttivo), un po’ per mancanza d’informazione sull’insostituibilità del latte materno nei primi mesi di vita. La donna si è poi fatta condizionare da false paure sui presunti danni estetici dell’allattamento e da un malinteso desiderio d’emancipazione. Il peso più decisivo, in questa “scelta”, lo ha avuto la martellante pubblicità delle industrie produttrici di latte (in polvere e non), aiutate sicuramente dai sacerdoti della salute in camice bianco che hanno contribuito a creare un vero e proprio “mito” alimentare, basato su poco o nulla.

Prima di tutto il latte di una madre sana è sempre fresco e batteriologicamente puro, mentre ogni tipo di latte non umano deve subire un processo di “cottura” ad alte temperature che ne distrugga gli organismi nocivi (ma la stessa sorte tocca purtroppo anche alle vitamine). Latte materno e latte vaccino non sono assolutamente uguali, se non nel colore: si differenziano, infatti, nella composizione percentuale degli ingredienti (essendo uno destinato a far crescere esseri umani e l’altro bovini), e nella qualità di tali ingredienti (ad esempio le catene d’aminoacidi sono completamente diverse). Inoltre solo nel latte materno sono presenti sostanze che immunizzano il neonato dalle infezioni (soprattutto quelle respiratorie e intestinali), nonché la quantità di fosforo esattamente necessaria al suo sviluppo cerebrale. Il “cucciolo” d’uomo sviluppa dapprima il cervello, mentre l’animale sviluppa prima la struttura ossea. La quantità di lattosio, essenziale per lo sviluppo cerebrale del bambino, nel latte umano è quasi il doppio rispetto a quella che si riscontra nel latte vaccino, Questo fatto è facilmente spiegabile se si pensa che l’accrescimento del cervello del bambino è molto più rapido di quello del vitello. Il latte di mucca contiene molta caseina (quasi tre volte il latte umano), una proteina che, a contatto con i nostri succhi gastrici, “caglia”, formando un grumo compatto, alquanto indigesto, che provoca inoltre l’aumento dei processi putrefattivi intestinali.

Il latte vaccino, dovendo servire ai vitelli, che hanno una velocità d’accrescimento fisico notevolmente superiore a quell’umana (raddoppiano il proprio peso dopo appena 47 giorni dalla nascita, mentre il neonato umano lo raddoppia in 180 giorni), contiene dal 3,5% al 5% di proteine, contro l’1,2% del latte umano. Tale notevole quantità di proteine nel latte di mucca costituisce, quindi, un’autentica overdose proteica per un essere umano. Si è così accertato che quando le proteine superano il normale fabbisogno del mammifero che assume un determinato latte, l’eccesso determina un sovraccarico per il fegato e le reni, che hanno il compito di eliminare i prodotti del metabolismo proteico. Il latte umano, al contrario di quello vaccino, garantisce al neonato la massima prevenzione dalle allergie e dalle infezioni. I medici hanno riscontrato che oggi il giovane americano, alla visita di leva, ha già terminato la crescita ossea, cosa che solo venti anni fa succedeva sei - sette anni più tardi. Questo avviene perché sono alimentati fin dalla nascita con latte non specifico e con altri cibi iperproteici. Tra l’altro ogni alimento ha valore nutritivo per la sua capacità di essere assorbito dal nostro organismo, non solo per la quantità di sali minerali, vitamine o proteine in esso contenuto.

Il calcio tanto reclamizzato nel latte vaccino è in genere male assorbito dall’uomo, perché è associato con una percentuale (relativamente) troppo alta di fosforo (fattore inibente) e alla caseina. Nonostante ciò, nei paesi occidentali “sviluppati” mangiamo così tanto da riuscire a fare un’overdose quotidiana di calcio, il quale va a depositarsi sulle pareti delle arterie - provocando, insieme al colesterolo, l’indurimento delle stesse - oppure forma calcoli renali, o si accumula nelle articolazioni, dando vita a manifestazioni artritiche. Il cinese medio assume appena 15 mg di calcio al giorno, eppure ha meno carie e osteoporosi dell’americano medio, che ne ingurgita ben 800 mg. Bambini affetti da otiti, tracheiti, catarri a ripetizione sono rientrati nella norma sopprimendo i latticini ed in particolar modo lo yogurt. L’insonnia dei neonati è di solito da addebitare alla somministrazione di latte vaccino. Latticini e formaggi sono legati alle malattie della civiltà: insorgere di tumori, cisti, fibromi, cancro all’apparato riproduttivo femminile (seno, utero, ovaia), infezioni all’apparato uro - genitale (cistiti e candida, molto diffusa tra le giovani americane), malattie del sistema cardiocircolatorio (arteriosclerosi, trombi, infarti...) a causa dell’enorme quantità di grassi saturi; connessione diretta con le più svariate forme d’allergia sia alimentare che della pelle e dell’apparato respiratorio (asma, raffreddore da fieno), abbassamento delle difese immunitarie, problemi del sistema digerente (diarrea, stitichezza, per la mancanza di fibre).

Considerazioni finali

Se non sono ancora state sufficienti tutte le informazioni e le considerazioni esposte facciamo, prima di chiudere, un’ultima riflessione: Il latte è un alimento per i cuccioli di quella particolare specie animale che, proprio per questa caratteristica, si differenzia da tutte le altre: i mammiferi. Ebbene, non esiste alcun mammifero che, arrivato all’età adulta nella quale è in grado di nutrirsi da solo, continui ad assumere il latte. Solo l’uomo continua a bere latte e non usa nemmeno il proprio, ma quello di altre specie. Se esistono delle leggi in natura, qualcuno sicuramente sta sbagliando trascurando il fatto che le leggi naturali, contrariamente da quelle umane, non ammettono deroghe. Infine, esaminando lo sviluppo del cucciolo uomo, vediamo che ad un certo punto cominciano a spuntare i primi denti. La comparsa dei denti sta a significare che nel corpo di quell’esserino (e soprattutto nel suo apparato digerente) hanno avuto inizio le varie trasformazioni che lo condurranno gradatamente all’alimentazione dell’adulto. Da quel momento, l’importanza del latte (quale alimento unico) cessa, e anche la sua importanza quale alimento basilare diminuisce man mano che lo svezzamento procede e terminerà verso la fine del secondo anno di vita, quando sarà completata la sua prima dentizione, che viene appunto chiamata “da latte”: termina cioè quando il bambino ha i suoi venti denti caduchi. Il latte diventa allora un alimento secondario e anche la sua importanza come tale finirà per scomparire allorchè il ragazzo, versi i quattordici anni, avrà i primi 28 denti della sua dentatura permanente. A partire da quell’epoca egli potrà veramente alimentarsi come l’adulto e IL MAMMIFERO ADULTO NON SI CIBA DI LATTE.

Cibi che contengono latte:

tutti i tipi di formaggio, yogurt, gelato, cappuccino, crema di nocciole, budini, frappè, frullati, burro, alcune interpretazioni del pesto alla genovese, ravioli e tortelli ‘di magro’, lasagne e cannelloni al forno, sformati e soufflè, salsa besciamella, gnocchi, purè di patate, pizza e calzoni, panini toast e tramezzini, alcuni prodotti precotti da infornare per fare focacce e simili, panna, mascarpone, quasi totalità della pasticceria (anche quella secca), merendine, biscotti, cioccolata al latte, certo scatolame, salse e manicaretti particolari o esotici che si trovano nei supermercati, mortadella, wurstel, prosciutto cotto, ecc..

Concludendo, il calcio, indispensabile al nostro organismo, è meglio ricavarlo da alimenti d’origine vegetale, anziché d’origine animale. RAW FOOD - Frutta, germogli e verdure CRUDE, fresche di stagione e possibilmente biologiche, contengono le giuste quantità di calcio biodisponibile e quindi assimilabile, con facilità, dal nostro organismo.

www.vegetarian.it

 


I pericoli del latte

www.disinformazione.it

Da documenti storici, risulta che fu nel 1793 per opera di un certo Underwood, che venne dato a dei neonati il latte di mucca! Prima di tale data, se una madre moriva e lasciava il piccolo da allattare, ci pensava la balia e non certo una vacca!
La composizione del latte umano è unica.
Il bambino ha una crescita lenta, mentre il vitello ha una crescita molto rapida, ecco perché il latte di vacca contiene più del doppio di proteine e calcio di quanto non ne contenga il latte umano.

Latte

Lattosio

Grassi

Proteine

Sali

Umano

7%

4%

1,5%

0,2%

Mucca

4,4%

4,5%

4,3%

0,8%

Capra

4,8%

3,7%

3,5%

0,45%


La caratteristica più singolare nella crescita del piccolo dell’uomo, rispetto a quella degli altri animali, è il grande sviluppo del cervello nel primo anno di vita. Il latte umano è preposto a favorire tale sviluppo, come nessun altro latte!
Oggi il latte vaccino viene pastorizzato, omogeneizzato, trattato, congelato, evaporato, condensato, polverizzato, adulterato, aromatizzato… Tutti processi mortiferi.

L’omogeneizzazione per esempio consiste nel passare il latte attraverso una grande centrifuga che separa il grasso (crema, panna montata, ecc.) dal latte stesso. Tale processo meccanico produce una notevole ossidazione con conseguente perdita di valore e crea dei microscopici grumi di grasso che possono “strisciare”, “rigare” e quindi infiammare le vene, facendo intervenire sul posto colesterolo, fibrine, calcio, per bloccare tale processo infiammatorio.
Il risultato sono le tristemente note famose placche ateromatose!

Durante il processo di pastorizzazione del latte il Trifosfato di Calcio-Magnesio si scompone in sali: Fosfato di Calcio, Fosfato di Magnesio, Carbonato di Calcio che sono del tutto insolubili e assolutamente inutili (come tutti i minerali inorganici); le proteine del latte coagulano e precipitano assieme ai sali.
I minerali alcalini si ossidano e ciò che resta dopo la perdita della parte alcalina è molto acidificante per l’organismo. Un corpo acido sottrae minerali alcalini dalle riserve (ossa, denti, capelli, unghie, ecc.)
Questo è motivo per cui latte e latticini, anche se vengono consigliati dai medici per “curare” l’osteoporosi, sottraggono invece minerali come il calcio.

Una proteina del latte, la caseina, non possiamo digerirla perché non abbiamo l’enzima (DPP-IV) sempre più disabilitato a causa delle vaccinazioni, del fluoro, cloro.
L’enzima per digerire lo zucchero (lattosio), lo perdiamo all’età di circa 3 anni e quindi il lattosio si trasforma in acido lattico, un sottoprodotto tossico e soprattutto acidificante.
Altre proteine come la albumina e globulina subiscono a causa della pastorizzazione la coagulazione.

La pastorizzazione deammina alcuni aminoacidi facendoli diventare inutili alla nutrizione, la vitamina C viene totalmente distrutta, come pure tutte le altre vitamine.
Lo maggior parte dell’importante iodio viene perso.
Infine nel latte vi sono delle sostanze come la lactenina e l’acido rumenico, che risultano essere nocive per la flora batterica intestinale per via della loro attività antibiotica.
Il latte scremato causa più danno di quello intero, perché quando si diminuisce la percentuale di grasso, quella delle proteine aumenta!

 


Questi sono i rifiuti dell'industria del latte e della famosa mozzarella di bufala. cuccioli maschi inutili per la produzione di latte, strappati alle madri il cui latte serve per produrre la "buona" mozzarella, inutili per l'industria della carne, incaprettati, con il muso legato per non emettere i gemiti dei neonati in cerca di cibo e della loro mamma. Costretti a morire di fame nel silenzio.

 

 

 

 

 

 

 


Omega3: non solo nel pesce

L'assunzione di omega 3 e' piu' efficiente se questi provengono dai vegetali, lo dimostra un nuovo studio.
Una buona notizia per vegetariani e vegani - e per i nostri mari - giunge da una recente ricerca medico-scientifica condotta alla fine dell'anno scorso in Gran Bretagna e i cui risultati sono stati resi noti in un articolo apparso di recente sull'American Journal of Clinical Nutrition.
Vegetariani e vegani provvederebbero autonomamente alle proprie necessità di acidi grassi essenziali omega-3 a lunga catena (presenti nel pesce) ricavandoli dagli acidi grassi omega-3 vegetali, quindi senza dover introdurre nella propria dieta la carne di pesce. Tali grassi sono importanti per il buon funzionamento dei meccanismi metabolici.
E' già noto da tempo come gli omega-3 si possano ricavare molto più facilmente da fonti vegetali, come noci, semi di lino e olio di semi di lino, piuttosto che dal pesce (che ne contiene decisamente meno di quanto si crede), ma questo nuovo studio rende ancora più evidente come la fonte privilegiata di questi acidi grassi essenziali sia proprio quella vegetale.

Il Dr Welch e la sua equipe hanno analizzato dapprima 14.422 uomini e donne dai 39 ai 78 anni all'interno dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition) e successivamente hanno selezionato 4.902 soggetti nei quali erano stati misurati i livelli plasmatici dei PUFAs (polyunsantured fatty acids: acidi polinsaturi, cioè omega-3 e omega-6).
L'acido alfa-linolenico ALA (precursore degli acidi grassi omega-3 a lunga catena) una volta introdotto nel nostro organismo con l'alimentazione, viene metabolizzato e trasformato in EPA e DHA, entrambi votati a alle fondamentali funzioni organiche quali la formazione delle membrane cellulari, lo sviluppo e il funzionamento del cervello e del sistema nervoso periferico, la produzione di eicosanoidi che regolano la pressione arteriosa, la risposta immunitaria ed infiammatoria.
Lo studio ha mostrato come, a fronte di una minore introduzione di omega-3 attraverso la dieta tipica dei vegetariani/vegani, se paragonata a chi consuma pesce in quantità (con una percentuale che va dal 57% all'80 % di differenza), i livelli di EPA e DHA sono risultati essere pressoché uguali nei due gruppi di campioni studiati.

Ci sarebbe dunque - spiegano i ricercatori - una "efficienza di conversione" in acidi grassi omega-3 a lunga catena significativamente maggiore nei vegetariani/vegani rispetto a coloro che consumano pesce.
E' un dato importante che, oltre al significato etico, getta una luce positiva anche sul futuro delle specie marine selvatiche che, pericolosamente depauperate, sono destinate ad estinguersi.
L'EPIC rappresenta il più vasto studio di popolazione condotto sui livelli di ALA e sulla conversione in EPA e DHA e, se questi risultati saranno supportati da ulteriori studi, cambieranno le raccomandazioni per la Salute pubblica, il che avrà un effetto positivo anche sulla preservazione delle specie marine.


Fonti: Ailsa A Welch, Subodha Shakya-Shrestha, Marleen AH Lentjes, Nicholas J Wareham, Kay-Tee Khaw, "Dietary intake and status of n-3 polyunsaturated fatty acids in a population of fish-eating and non-fish-eating meat-eaters, vegetarians, and vegans and the precursor-product ratio of alpha-linolenic acid to long-chain n-3 polyunsaturated fatty acids: results from the EPIC-Norfolk cohort", American Journal of Clinical Nutrition November 2010, Volume 92, Number 5, Pages 1040-1051, doi:10.3945/ajcn.2010.29457 http://www.ajcn.org/content/92/5/1040.abstract?etoc

Societa' Scientifica di Nutrizione Vegetariana http://www.scienzavegetariana.it/

 


Gli orrori della produzione di uova

 


Il reportage è stato ripreso con una telecamera nascosta nello stabilimento di incubazione Hy-Line nello Stato dell'Iowa. Per due settimane gli investigatori dell'associazione Mercy For Animals hanno documentato la crudeltà sistematica cui sono sottoposti i pulcini in questo genere di stabilimenti.

Dalle incubatrici arrivano i pulcini appena usciti dall'uovo. Alcuni operai hanno il compito di separare i maschi dalle femmine. Le femmine saranno usate per produrre uova da vendere, i maschi invece sono inutili, perché non produrranno uova e non sono della razza giusta per diventare dei polli "da carne" convenienti per l'industria.

I pulcini maschi vengono dunque uccisi subito, gettandoli vivi in un tritacarne.

Questo è un metodo standard di questo tipo di industria. Un altro metodo è il soffocamento in sacchi neri.

Ai pulcini femmina viene tagliata la punta del becco con una macchina. Questo perché quando da adulte le galline saranno costrette in gabbie minuscole a produrre uova e per questo impazziranno, non si feriscano gravemente tra loro causando danni economici per i produttori di uova.
Il becco dei pulcini contiene terminazioni nervose. La procedura di taglio può causare dolore sia acuto sul momento, che cronico, per tutta la vita della gallina adulta.

Come vedrete dal video, i lavoratori maneggiano rudemente gli animali, senza alcun riguardo per il loro benessere. Cercano quelli malati, feriti e deformi per eliminarli.
Queste crudeltà non sono casi isolati, si tratta del normale processo usato in tutto il mondo, Italia compresa, per la selezione delle galline ovaiole.
Le galline vengono poi allevate in piccole gabbie, sfruttate per 2 anni per produrre uova, e poi macellate. Anche le galline allevate a terra provengono da questi stabilimenti e vengono alla fine uccise.

È impossibile consumare uova senza uccidere i pulcini maschi prima e le galline dopo.

Scegli di non uccidere, grazie a un'alimentazione 100% vegetale.


Fonte: Mercy for animals - http://www.mercyforanimals.org